”Salve, cittadini del mondo. Permetteteci di presentarci… Noi siamo il gruppo internazionale di hacker Fancy Bears. Siamo a favore del fair play e dello sport pulito. Annunciamo la nascita di #OpOlympics. Vi sveleremo come vengono vinte le medaglie olimpiche. Abbiamo hackerato i database della WADA (Agenzia Mondiale Antidoping) e siamo sotto shock per ciò che abbiamo scoperto. Partiremo dal team USA, che ha sporcato il suo nome a suon di vittorie contaminate dal doping, e sveleremo anche altre informazioni esclusive riguardo a numerosi paesi che hanno partecipato alle Olimpiadi. Aspettateci, vi forniremo le sensazionali e sconvolgenti prove riguardo all’assunzione di sostanze dopanti da parte di svariati atleti famosi.
Noi siamo Anonimi (in inglese Anonymous, gli hacker lasciano così intendere un legame con la nota rete)
Noi siamo una Legione
Noi non perdoniamo
Noi non dimentichiamo
Ci faremo risentire a breve”.
Un saluto che difficilmente verrà scordato, quello del collettivo di hacker (forse russi, forse no) Fancy Bears, che dal 13 settembre in poi hanno iniziato a scuotere il mondo dello sport a suon di rivelazioni riguardo a dei casi di abuso di farmaci e cosiddetto ”doping autorizzato” da parte degli organi predisposti al controllo: una ridda di informazioni, certificati medici, esenzioni e positività ignorate, che sono state rese note dopo l’attacco e la violazione dei server della WADA (Agenzia Mondiale Antidoping), in un’operazione simile per certi versi a quella operata da Football Leaks in un calcio che vede i fondi d’investimento e le cosiddette TPO proliferare e corrompere un mercato già poco irreprensibile.
Inizialmente l’attacco dei Fancy Bears (nome che di per sè fa sorridere) era rivolto solo agli atleti americani, cosa che ha portato alla conclusione che si trattasse di una vera e propria vendetta per lo scandalo scoppiato intorno al doping di stato russo (che ha portato all’esclusione di diversi atleti dall’Olimpiade e dell’intero contingente russo alle Paralimpiadi), ma le successive rivelazioni degli hacker hanno portato ad allargare la massa degli atleti ”incriminati” a numerose nazioni, tra le quali figura anche l’Italia, e a parecchi nomi illustri del mondo dello sport olimpico e non solo. Ma cosa svelano nel dettaglio i documenti pubblicati da Fancy Bears, e qual è il coinvolgimento dei cinque atleti azzurri che vengono nominati nel rapporto del 23 settembre? Andiamo a scoprirlo insieme, facendo chiarezza anche sui risvolti tecnici e regolamentari di questa vicenda.
ABUSI DI FARMACI, POSITIVITÀ COPERTE E SIMIL-DOPING LEGALIZZATO: IL SOTTOBOSCO DELLO SPORT SVELATO DA FANCY BEARS
Cosa svela Fancy Bears? Qualcosa che non avremmo mai voluto scoprire, e va a spezzare il mito dell’atleta ”supereroe” che vive solo del lavoro quotidiano e della dura, durissima fatica in allenamento: l’attacco ai server della WADA, infatti, rivela un sottobosco fatto di esenzioni ad personam di durata quadri-quinquennale, la dipendenza di alcuni atleti da farmaci che sono classificati tra le sostanze dopanti e, ci permettiamo di dirlo, l’eccessiva tolleranza data dalla WADA ai grandi nomi dello sport. Possiamo definire il ”lavoro” di Fancy Bears come un’autentica bomba scoppiata in seno al mondo dello sport, per di più a nemmeno un mese dalla fine delle Olimpiadi di Rio, e di quei Giochi che hanno visto brillare la stella di Simone Biles nella ginnastica artistica: per lei quattro ori, l’apoteosi e… la menzione degli hacker, che hanno riservato proprio all’atleta classe ’97 l’apertura della loro inchiesta, mostrandola come ”esempio degli sporchi metodi usati dagli USA per vincere e fare strage di medaglie”. E in effetti, sin qui il maggior numero di atleti ”leakati” dagli hacker è americano, ma non era questo il punto: torniamo alla Biles, e alla dozzina di certificati che dimostrano come la ginnasta made in USA, venuta alla luce per le sue vittorie e per la sua triste storia di vita, abbia all’attivo parecchie esenzioni per farmaci contro il deficit d’attenzione e stimolanti, che sarebbero assolutamente vietati. E, come se tutto questo non bastasse, i file svelano anche l’assunzione ”legalizzata” di amfetamine da parte della ginnasta americana che, udite udite, vanta anche una (anzi, quattro, come si legge dai documenti) positività all’antidoping per il metilfenidato, uno stimolante che sarebbe vietato, ma lei poteva usare grazie alla ”provvidenziale” prescrizione medica. Come dicevamo, il primo giorno del lavoro dei Fancy Bears equivale ad un’autentica bomba, perché svela anche l’abuso di farmaci da parte delle sorelle Williams: si va dai medicinali anti-asma di Venus, per poi passare all’ossicodone di Serena, la quale viene pizzicata in evidente dipendenza (anche qui giustificata con fior di prescrizioni) dagli antidolorifici. Un 13 settembre caldissimo per gli USA dunque, ma già dal successivo rapporto (usciranno dati a scadenze regolari il 15-17-19 settembre, per poi passare al 23 ed all’ultimo rapporto del 3 ottobre) il tutto si allarga al resto del mondo: nell’elenco del 15 settembre troviamo i britannici Wiggins e Froome (farmaci contro l’asma e stimolanti polmonari) e la ceca Kvitova (avvezza al famoso salbutamolo, che tempo fa costò lo stop a Diego Ulissi), in quello del 17 Mireia Belmonte, mentre il 19 settembre è la volta di Mo Farah: è il britannico, i cui dati vengono pubblicati insieme a quelli di big come Cseh e Nadal e della contestata Niyonsaba (atleta che usava con prescrizione medica gli estrogeni), il nuovo grande nome coinvolto nell’abuso di farmaci, ed anche la sua situazione risulta inquietante. Un campione del calibro di Farah si ritrova infatti ad avere l’esenzione medica per l’uso costante della morfina e di quel Vicodin divenuto famoso con dr. House, e certamente non buono per l’organismo di un atleta che poi andrà a vincere l’Olimpiade: da qui a parlare di doping legalizzato e di alterazione dei risultati ce ne passa, ma diciamo che certe situazioni e certi dati lasciano perplessi. Soprattutto quando nel seguente rapporto troviamo anche il nome del compagno d’allenamento Galen Rupp, in una lunga lista che comprende anche il serbo Teodosic (asmatico), Fabian Cancellara e i nomi di cinque atleti italiani, dei quali analizzeremo in seguito documenti e prescrizioni mediche: mentre l’ultimo rapporto, pur coinvolgendo nomi di spicco come Alistair Brownlee, che però vede diventare pubblica la prescrizione di un farmaco per un solo giorno (!), dà la sensazione che le carte migliori siano state già lanciate dagli hacker russi, e del voler raschiare il barile. Insomma, nel complesso ci troviamo di fronte a un ”rapporto delle leggerezze” della WADA in materia di permissivismo verso gli atleti, ma anche a un caso che potrebbe risolversi con una clamorosa e inconcludente bolla di sapone.
CASO-FANCY BEARS: ”MOLTO RUMORE PER NULLA”?
Esatto, perché, nonostante il polverone sollevato (giustamente) da questi dati e questi documenti, il caso potrebbe anche restare tale solo sulla carta, o meglio, solo nei giudizi di chi legge dall’esterno e commenta con durezza l’abuso di farmaci da parte degli atleti e la volontà di restare i migliori anche a scapito della propria salute effettiva. Va chiarito infatti quello che è un dato oggettivo e ineluttabile: nonostante le polemiche suscitate dalla fuga di documenti e dalle scoperte che ne sono conseguite, l’operato degli atleti, a meno di clamorosi (e difficili) stravolgimenti, non sarà punibile in alcun modo a livello regolamentare. È stata infatti la WADA (o, in sua vece, le agenzie antidoping nazionali) a fornire le esenzioni agli atleti per i numerosi farmaci assunti, e proprio per questo le posizioni dei singoli sportivi sono inattaccabili: come può l’Agenzia Mondiale Antidoping punire, squalificare o privare delle medaglie ottenute degli atleti che lei stessa ha autorizzato ad assumere quei farmaci che potrebbero averne agevolato le prestazioni? La risposta è semplice ed evidente: non può. E così, a meno di modifiche regolamentari che vadano a ridurre o eliminare del tutto (a meno di vitale necessità) l’utilizzo dei farmaci proibiti, tutto potrebbe restare com’è, con gli atleti coinvolti che ne ricaverebbero solo l’onta del vedere i propri problemi fisici/dipendenze da farmaci sbandierati al mondo intero. E molti atleti, proprio per questo, sono pronti ad azioni legali per tutelare la loro onorabilità, visto che in alcuni casi, come ad esempio quelli dei nostri sportivi coinvolti e hackerati, la fuga di documenti evidenzia un coinvolgimento nullo o minimo.
FANCY BEARS: TUTTO SUI CINQUE AZZURRI ”HACKERATI”
Andiamo dunque a parlare nel dettaglio dei cinque azzurri che sono stati nominati nel rapporto del 23 settembre: nella fattispecie, si tratta di Paolo Pizzo (spada, argento a squadre a Rio), Emanuele Birarelli (capitano dell’Italvolley), Teresa Frassinetti (Setterosa), Rachele Bruni (argento nella 10km del nuoto di fondo) e Matteo Lodo (canottaggio): per la quasi totalità di loro, eccezion fatta per il Bentelan prescritto a Birarelli come antinfiammatorio, ci troviamo di fronte ad una prescrizione medica riservata ad atleti che da tempo soffrono (o hanno sofferto in passato, come nel caso di Pizzo) dichiaratamente di sindromi asmatiche, e dunque si servono del prednisolone o di farmaci equivalenti. È di poco conto, dunque, il coinvolgimento azzurro (mettere i nostri atleti sullo stesso piano del duo Biles-Farah sarebbe una bestemmia), e non si può neppure parlare di un abuso di farmaci, al momento, dato che le prescrizioni denotano un uso limitato o comunque necessario per praticare al meglio la propria disciplina: è singolare, inoltre, il caso di Pizzo, ”denunciato” dagli hacker con un documento del quale lui stesso ha contestato la durata riportata (4 anni, quando invece l’originale parla di esenzione per una sola stagione), e che riporta, pur essendo del 2010, un insolito logo di Rio 2016 che inizialmente aveva fatto gridare allo scandalo (di seguito vi proponiamo il documento che coinvolge Pizzo, e quelli degli altri azzurri).
Scandalo poi rientrato, anche perché lo stesso Pizzo ha reagito duramente sui suoi social (con un post poi rimosso), e il coinvolgimento azzurro nell’inchiesta è subito sembrato marginale: ma, tralasciando per un attimo i risvolti ”italici” della vicenda, quello che emerge dalle rivelazioni di Fancy Bears è uno sport malato ed assuefatto sia ai farmaci, che al permissivismo delle autorità.
È questo lo sport che vogliamo vivere e trasmettere ai nostri figli? La risposta sembra evidente, e dunque auspichiamo una ridiscussione delle norme che permettono le esenzioni, e il loro ritorno entro una sfera accettabile che precluda l’abuso, e tuteli l’utilizzo necessario (e non ”spinto”) dei farmaci utili per curare patologie o sindromi…