Giocando con Pirlo ho imparato una cosa: se ti ignora, preparati, perché sta per passartela.

Una frase curiosa per un calciatore, i cui sguardi spesso anticipano le sue mosse (basti pensare ai rigori). Ma Andrea Pirlo non è UN calciatore. Senza ombra di dubbio, Andrea Pirlo è uno dei calciatori più forti della storia di questo sport, che ha fatto la fortuna di specialmente tre squadre: Milan, Juventus e ovviamente della Nazionale italiana.

Una lunga carriera, diverse “ere calcistiche”, diversi luoghi. Ma ovunque, è stato accompagnato da tre parole: sorriso. Piede. Maestro.

SORRISO

È forse una delle battute più ricorrenti quando si parla di Andrea Pirlo: lui non sorride mai. Una serietà e un volto impassibile, dettati dalla concentrazione, che in realtà tradisce un’indole molto scherzosa.
“Se non lo senti parlare o fare battute nello spogliatoio devi stare attento, vuol dire che sta preparando qualcuno dei suoi scherzi”, parola di Bonucci. Una dichiarazione che ricorda tremendamente quella sui passaggi: Pirlo è imprevedibile.

Eppure i motivi per sorridere, Andrea, ne ha avuti molti. Parlando di Nazionale, Pirlo e la maglia azzurra si possono considerare come due amanti che, durante la loro storia, hanno dato tutto loro stessi l’uno per l’altra.
Tanto per cominciare, il reciproco regalo della vittoria all’Europeo Under 21 in Slovacchia nel 2000; poi, forse più significativo a livello storico, la prima (e ad oggi unica) medaglia vinta dall’Italia dalla costituzione della Nazionale olimpica (1952), con il bronzo di Atene 2004.

Un’Olimpiade sofferta, partita con un girone superato con appena 4 punti e solo grazie alla differenza reti, e che rischiava di concludersi con la sonora sconfitta per 3 a 0 contro l’Argentina di Carlos Tevéz e Javier Mascherano in semifinale.
Così non è stato, perché la finalina contro l’Iraq regala l’ultimo gradino del podio all’Italia grazie al gol di Alberto Gilardino.

(Fonte: Pinterest.com)

Pirlo, Gilardino… nomi che ci portano ad un altro dei “rari” sorrisi di Andrea, nonché al terzo ed ultimo trofeo alzato dal bresciano in Nazionale: la Coppa del Mondo 2006, il coronamento di una carriera ormai pienamente consacrata tra le file del Milan, con cui ha vinto tutto.
Già, il Milan. La squadra che ha mostrato al mondo intero il suo enorme talento, che così tanti sorrisi gli ha regalato. Ma, ne siamo certi, una volta quel sorriso ha contribuito a spegnerlo.

Estate 2011: dopo una stagione vissuta ai margini del progetto, Andrea Pirlo viene ceduto alla Juventus. Un passaggio agli eterni rivali shockante, ancora di più se si pensa che è avvenuto a parametro zero. Un giocatore ormai “bollito”, invecchiato, non più decisivo: con questi pensieri in testa uno degli eroi del 2006 fa le valigie per Torino, dove trova ad accoglierlo Antonio Conte, neo allenatore di una squadra ancora sconvolta da Calciopoli e che viene da due settimi posti consecutivi in Serie A. Una squadra che si può definire quasi sperimentale, quella di Conte, formata da nomi poco sconosciuti e da tanti “vecchietti”. Buffon, Del Piero, Barzagli: altri “ex calciatori”, proprio come quel Pirlo che viene messo al centro della squadra, concettualmente e fisicamente.

Al termine di quella stagione, non sarà l’unico a ritrovare il sorriso: lo ritroveranno anche i suoi compagni e tutti quei tifosi che, per la prima volta dopo anni, riassaporeranno la gioia nel vincere lo Scudetto, il primo dei tre consecutivi che Pirlo vincerà con la maglia bianconera. Il primo dopo sei anni di dominio milanese: quella stessa città che, prima nelle vesti dell’Inter e poi del Milan, avevano commesso l’errore di non credere abbastanza in lui. Chissà se in quel sorriso c’era anche un pizzico di rivincita.

PIEDE

Tra gli elogi e gli attestati di stima, c’è anche un’accusa che ha accompagnato Andrea per tutta la sua carriera: Pirlo non corre. In un calcio come quello moderno in cui la velocità è parte integrante dello sport, effettivamente Pirlo non si è mai fatto notare per eccezionali doti di corridore. Ma il motivo è semplice: non ne aveva bisogno. Il suo pensiero era più veloce di qualsiasi calciatore o difensore avversario, il tutto condito da un piede che definire raro è un eufemismo e da una bella dose di genialità.
Sono due, forse, le immagini dei suoi colpi “impossibile” che più di tutte sono rimaste impresse nella memoria, ed entrambi sono legate alla maglia della Nazionale.

Il primo ci riporta di nuovo in quell’anno che, per diversi motivi, è stato centrale per la storia del calcio italiano: il 2006. Siamo in Germania, a Dortmund, ed è il 4 luglio, data che diventerà importante non più solo per gli statunitensi. Si sta giocando Italia – Germania ed è la semifinale dei Mondiali di calcio. Sono i tempi supplementari e la sfida è inchiodata sullo 0 a 0, con lo spettro dei rigori sempre più corporeo. Le sfide così vengono risolte solo dai campioni, e così è stato: Pirlo riceve palla da calcio d’angolo ed è al limite dell’area. Qualsiasi giocatore avrebbe tentato il tiro, ma cosa dicevamo all’inizio di questa storia?
Guardando da tutt’altra parte, Pirlo serve alla perfezione Fabio Grosso nell’area: il resto è storia.

(Fonte: it.ibtimes.com)

Forse ancora più forte è però la seconda immagine, legata all’Europeo di calcio 2012. Stiamo sfidando l’Inghilterra e questa volta ai rigori ci siamo arrivati per davvero. Riccardo Montolivo ha appena sbagliato il suo e i britannici sono in vantaggio. La tensione è palpabile, ma Pirlo arriva con la solita impassibilità nel volto al dischetto.
Lì, il genio si incrocia con la follia: Andrea “fa il cucchiaio”. Uno “scavetto” perfetto, incredibilmente lucido considerando il contesto in cui è stato fatto, che scavalca il portiere Joe Hart con incredibile lentezza.
Certo, bellissimo gesto tecnico, ma dove sta l’importanza un rigore calciato in questo modo?, penserete voi. Tutta questione psicologica: dopo quel cucchiaio, l’Inghilterra ha sbagliato tutti i rigori rimanenti. Un vero colpo da maestro.

MAESTRO

Ed è proprio così che è stato soprannominato Pirlo: Maestro, nomignolo ideale per definire tutto ciò che rappresenta Andrea, dal piede educato alla sapienza tattica. Un nickname che si è portato anche negli Stati Uniti, nel New York City, dove probabilmente i tifosi l’hanno visto nello stesso identico modo in cui gli indios accolsero i conquistadores: come divinità.

Un maestro anche dei gol su punizione, di cui detiene il record in Serie A (ben 28, a parimerito con Siniša Mihajlović) e in generale uno dei più grandi “Palloni d’Oro mancati” della sua generazione, unico riconoscimento che gli è sfuggito in una carriera che, forse, sta per trovare nuova linfa, con il suo desiderio di diventare allenatore. Maestro, in quel caso, di soprannome e di fatto.
“Chi sa fare fa, chi non sa fare insegna”, recita un proverbio. Considerando che Andrea Pirlo ha dimostrato più volte di saper fare, non osiamo immaginare cosa sarebbe in grado di trasmettere ai suoi calciatori.

mm
Giornalista in erba, sono un appassionato di sport, con un occhio di riguardo per il calcio (banale!) e la boxe.

Potrebbero anche piacerti...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *