Sono trascorsi 10 anni dalla rimonta di Ivan Basso al Giro d’Italia 2010, che permise al varesino di conquistare il secondo trionfo nella corsa rosa.
Storicamente, il controllo dei valichi alpini ha sempre fatto la differenza nelle campagne militari europee. Conquistare una delle roccaforti poste all’ingresso delle valli poteva influire pesantemente sulla riuscita di un’azione offensiva. Alcune regole dell’arte della guerra si prestano anche al ciclismo. Sono le montagne a permettere di controllare la classifica generale con importanti ambizioni. Il Passo del Mortirolo evoca i ricordi di aspri combattimenti tenutisi sul finire della Seconda Guerra Mondiale tra i partigiani in avanzata e i tedeschi in ritirata verso il Trentino. Ma il nome della salita riporta alla memoria anche giornate di grandi sofferenze per i protagonisti del Giro d’Italia. Minuti apparentemente infiniti passati cercando dannatamente di arrampicarsi lungo le arcigne pendenze della strada. È un percorso spietato ed esigente. La crisi è uno spauracchio che attanaglia ogni corridore, una sorta di terribile annunciatrice pronta a farsi avanti insieme all’aumento dell’acido lattico nei muscoli. Ma è anche sul Mortirolo che sono state scritte pagine memorabili. Raramente chi vi transita per primo in cima vince il Giro: è capitato solamente in quattro occasioni su quattordici passaggi. Eppure notoriamente è uno degli appuntamenti più attesi perché le gerarchie della classifica generale sono pronte a essere messe in discussione.
LA RIMONTA DI BASSO
Accade lo stesso nel 2010. Si intuisce presto che sarà una corsa pazza. Quattro cambi al comando della gara in altrettante tappe. L’uomo più atteso è il campione del mondo Cadel Evans, ma la sua BMC paga l’inesperienza e non si mostra all’altezza del capitano. L’Astana di Aleksandr Vinokourov è molto più solida e il kazako sembra davvero il candidato più serio. La vera corazzata si rivela la Liquigas-Doimo, che punta sull’esperienza di Ivan Basso e sulla freschezza di Vincenzo Nibali. Insieme alla variante impazzita Michele Scarponi, leader dell’Androni Giocattoli, sono loro ad animare la corsa nelle prime settimane. Almeno fino al 19 maggio, quando una fuga composta da diversi attaccanti sorprende i big e sul traguardo di L’Aquila ridisegna la classifica. Comanda Richie Porte, ma presto si intuisce che è David Arroyo l’outsider più pericoloso. Lo spagnolo della Caisse d’Epargne è solido e affidabile. Nemmeno le salite lo fanno traballare. Giorno dopo giorno sembra sempre più complicato togliergli la maglia rosa dalle spalle. La carovana del Giro arriva alla diciannovesima tappa in programma il 28 maggio con l’iberico con 2’27” su Basso. Più distanti gli altri big. Il terreno per attaccare non manca: si parte da Brescia e si arriva sull’Aprica, con in mezzo la rampa del Santa Cristina verso Trivigno e il Mortirolo. Sulla salita più attesa si scatena lo spettacolo. La Liquigas dà vita a una durissima selezione sulle rampe. È una gara di resistenza. Ai meno 42 dal traguardo si stacca la maglia rosa. Il ritmo esasperato degli uomini con la divisa verde-blu non subisce nemmeno una sosta. Scarponi dà il suo contributo. Due chilometri dopo tocca a Carlos Sastre alzare bandiera bianca. Cinquecento metri più tardi stessa sorte per John Gadret e Aleksander Vinokourov. Cadel Evans è il ritratto della sofferenza: sbuffa, si alza sui pedali, spinge con le spalle. Sa che il treno verso la vittoria finale del Giro è guidato dalla locomotiva della Liquigas, con a capo Ivan Basso. Ma anche l’australiano deve chinare il capo. Via libera per il terzetto italiano composto dallo stesso Basso, da Scarponi e da Nibali che senza alcun timore reverenziale segue i maestri. Insieme recuperano anche l’ultimo fuggitivo, l’irriducibile Stefano Garzelli, e lo staccano. In cima al Mortirolo i tre hanno 55” su Vinkourov, 1’43” su Evans e 1’55” su Arroyo. La pioggia inizia a bagnare la corsa, rendendo la discesa più infida. La maglia rosa ne approfitta e mostra una tenacia notevole, recuperando terreno con un numero da campione. Il gap si assottiglia. Lo spagnolo, in cuor suo, inizia a pensare al miracolo. I secondi di ritardo diventano addirittura 38. Ben 1’17” recuperati in un amen. Il miracolo è possibile. Gelo in casa Liquigas-Doimo, speranza tra i Caisse d’Epargne. Ma manca ancora un’ultima salita, l’Aprica.
TRIPLETTA
Sulla carta, si tratta di un’ascesa relativamente agevole. Strada larga e pendenze non eccessivamente severe. Ma contano le gambe e le energie rimaste in corpo. E quando la strada torna a salire i muscoli di Arroyo e degli altri inseguitori, ritrovatisi insieme strada facendo per dare la caccia al magnifico terzetto, tornano a farsi pesanti. Inoltre nessuno vuole aiutare l’altro. Si susseguono le scaramucce e le provocazioni, con un ritmo volutamente compassato nel tentativo di convincere un avversario a prendere l’iniziativa. Contemporaneamente il distacco dai primi tre aumenta esponenzialmente. Torna superiore al minuto, poi si dilata. Inizia il countdown verso il cambio di padrone nella classifica generale: cinque, quattro, tre, due, uno. Basso sopravanza Arroyo, prima virtualmente, poi a tutti gli effetti quando i distacchi diventano ufficiali sul traguardo. Ivan chiude secondo e lascia il gruppo maglia rosa a 3’06”. È il nuovo leader e con 51” il Giro è virtualmente suo. Al terzo posto ecco l’apprendista Nibali, che ipoteca il piazzamento sul podio a fine corsa. Vince meravigliosamente Scarponi, unico a resistere al ritmo della Liquigas sul Mortirolo. Insieme compongono una tripletta italiana straordinaria. Un momento che sancirà svolte significative nelle carriere dei tre moschettieri. In quel giorno Basso tocca l’apice, prendendosi la rivincita dopo la squalifica nell’estate 2006 e i molti dubbi dopo lo stop. Ma al tempo stesso il varesino inizia la parabola discendente, che non lo vedrà più presente sul podio di un Grande Giro nelle stagioni successive. Discorso opposto per Nibali, che nel 2010 vincerà la sua prima importante corsa a tappe, imponendosi nella Vuelta. L’inizio di una lunga storia fatta di successi e imprese, destinata a incrociarsi con le vicende di Scarponi, divenuto protagonista indiscusso nei Giri 2011 e 2012 e poi fedelissimo compagno dello Squalo prima del terribile incidente che se lo portò via. Magari in questo momento pure Michele starà sorridendo ripensando alla sua giornata di gloria sull’Aprica.