A volte vincono anche loro: gli outsider, le riserve, quelli che nessuno si aspettava e che probabilmente al giorno d’oggi farebbero impazzire i bookmakers. Steven Bradbury ne è l’esempio maggiore, Filippo Ganna nel ciclismo su pista ha sbalordito gli italiani e conquistato il titolo mondiale nell’inseguimento, ma già negli anni ’30 l’Italia ciclistica sapeva stupire, e la storia di Attilio Pavesi ne è l’assoluta prova.
Il corridore emiliano, infatti, ha scritto una delle pagine d’oro dell’Italia dei Cinque Cerchi, e la sua particolarità non è solo quella di aver trionfato all’Olimpiade da outsider, come potremo vedere in seguito ripercorrendo le tappe della sua longeva vita e di quella carriera culminata nel titolo di Los Angeles.
Pavesi nasce a Caorso il 1° ottobre del 1910, e già da giovanissimo dimostra tutta la sua abilità: sin da ragazzo infatti inizia a lavorare nell’officina meccanica del paese, e da qui nasce la sua decisione di trasformare una bicicletta da passeggio in una da corsa, e di iscriversi alla prima gara della sua carriera, disputata a Zerbio all’età di 15 anni. Attilio va forte, ottiene le prime vittorie nei cadetti e si guadagna l’ingaggio da parte della Cesare Battisti, la principale società dilettantistica del periodo, con la quale trionfa nella Coppa Caldirola, nel Gran Premio Aquilano e nella Coppa Bendoni, tre delle più grandi corse dilettantistiche del periodo.
Un percorso che l’avrebbe portato senza problemi alle Olimpiadi del 1932, ma ecco il servizio militare a rompere i piani della giovane promessa: Pavesi viene mandato alle armi e deve interrompere gli allenamenti, ma siccome i Giochi si avvicinano e svariati atleti dilettanti (i professionisti non disputavano le Olimpiadi) erano alle prese col periodo obbligatorio nell’esercito, ecco scattare un regime speciale che consentiva loro di allenarsi anche durante il servizio militare, e farà arrivare Attilio in piena forma alla selezione pre-olimpica.
La gara, che qualificava i primi quattro classificati ai Giochi di Los Angeles, sarà però sfortunata per Pavesi, che cadrà dalla sua bicicletta e perderà parecchio tempo, arrivando solo quinto: un piazzamento che lo esclude dalle convocazioni, ma per sua fortuna arriverà poi l’inserimento nella squadra dell’Italia mussoliniana col ruolo di riserva alle spalle dei ”titolari” Olmo, Segato, Zaramella e Cazzulani. Pavesi entra così a far parte della selezione olimpica e affronta coi compagni il viaggio campale che porta gli azzurri oltre oceano: una settimana di nave fino a New York e cinque giorni di treno fino a LA.
La giornata chiave per Pavesi, però, arriverà il 4 agosto, quando a sorpresa parteciperà alla gara a cronometro dei 100 km su strada, sostituendo uno Zaramella dato in scarse condizioni fisiche: il favorito era danese, ma l’oro sarà assolutamente italiano, con Pavesi che sbaraglierà la concorrenza e taglierà il traguardo col tempo di 2h20’05” e una media oraria di poco superiore ai 40 km orari. Numeri che fanno impallidire, pensando a quelli attuali, ma bisogna anche considerare le condizioni ”tecnologiche” dell’epoca e il fatto che le bici degli anni ’30 superassero gli 8 kg di peso.
Pavesi entra così nella storia e fa gioire il popolo italiano e gli abitanti del piacentino, che potevano seguire le Olimpiadi via radio, trovando poi anche un sontuoso bis pochi giorni dopo: l’Italia, infatti, vincerà anche l’oro a squadre, con Attilio a guidare una squadra completata da Cazzulani, Segato ed Olmo, e coronare ulteriormente il suo exploit americano.
Ma la carriera di Pavesi non si fermerà a Los Angeles, città che l’ha omaggiato inserendo il suo nome nel bronzo del Memorial Coliseum, e lo porterà ad un’unica partecipazione al Giro d’Italia nel 1934, chiusasi con un piazzamento a metà classifica: in seguito, alcuni problemi fisici condizioneranno la sua neonata carriera da protagonista, e nel 1937 ecco la svolta che cambierà per sempre la sua vita.
Attilio viene infatti invitato a una corsa che si tiene a Buenos Aires, la ”Sei giorni del Luna Park”, e si innamora della città in cui abita la sorella, protraendo la sua permanenza ben oltre il periodo stabilito: il destino, esplicitato sotto forma del blocco delle partenze per un’Italia ad un passo dall’ingresso in guerra, deciderà per lui, e così Pavesi non si schioderà più da Baires e dal paese dell’Albiceleste.
L’olimpionico deciderà infatti di aprire un negozio di biciclette e organizzare gare di ciclismo per i locali, restando a lavorare nella sua attività ed a dispensare consigli sino all’età di 90 anni: un’età che in seguito verrà ampiamente superata da Pavesi, che spirerà solo il 2 agosto del 2011, pochi mesi prima di toccare la rilevante quota di 101 anni, e da più anziano vincitore dell’oro olimpico ancora in vita.
L’Italia l’ha omaggiato intitolandogli il velodromo di Fiorenzuola e piazzandoci una scultura che lo ritrae durante le gare, e ha accolto Pavesi solo per una breve visita avvenuta all’età di 93 anni, quando l’olimpionico ha scelto di tornare in quella Caorso che gli aveva dato i natali: perché l’Argentina ha avuto una presenza importantissima nella vita di Attilio (che ha anche preso la cittadinanza), ma quell’Italia per cui aveva vinto l’oro a Los Angeles restava ancora nel suo cuore, e con lei quel titolo conquistato partendo da riserva, prima di arrivare sul tetto del mondo…