Oggi ricorrono 13 anni dalla scomparsa di Marco Pantani, il Pirata delle due ruote. Avvolto dalle spire della depressione, si è spento a Rimini, lasciando profonda tristezza in chi lo ha conosciuto.
STUPORE E DOLORE: ADDIO AL PIRATA
Marco Pantani è morto. Questo era il titolo della prima pagina del televideo in un triste 14 febbraio. Lessi la notizia ed istintivamente guardai mio padre, quasi per cercare una risposta a tutto ciò. Anche lui aveva lo sguardo perso nel vuoto. Non sapeva che dire. Lo stesso silenzio degli amici del Pirata, drammaticamente risvegliati dai loro impegni e svuotati dalla terribile novità. Era un’atmosfera irreale. Il simbolo di tante generazioni di appassionati era volato via, stavolta non verso una vittoria di tappa come aveva sempre abituato tutti. Il traguardo di questa tappa è stato invisibile agli occhi umani.
RESISTENTE FUORI, FRAGILE DENTRO
Marco era un abile prestigiatore. Sapeva dissimulare la fatica, sopportare il dolore nei muscoli per la presenza dell’acido lattico. Poteva attaccare in ogni momento in salita. Ma l’animo era molto più fragile del minuto fisico da scalatore. Era in grado di non ascoltare il suo corpo quando lo invitava a rallentare nelle sue azioni da lontano, folli ed improbabili per tutti, ma non per lui. Ma il male fisico non è mai stato lontanamente paragonabile a quello interiore. Il dolore dell’animo è un tarlo che corrode con il suo andare ogni certezza, aggredisce anche i ricordi più belli, trasforma tutto in grande sofferenza. E Marco ha patito molto nel suo piccolo. In quel caso, non c’erano giochi di prestigio possibili per alleviare il male. Non ci si può mentire quando il cuore duole così.
LA PARABOLA DISCENDENTE
Nel 2004 i ricordi della doppietta Giro-Tour di sei anni prima non erano ancora sfumati. Il suo scatto a Montecampione, in faccia a Pavel Tonkov, e la sua discesa folle dal Galiber verso Les Deux Alpes erano ancora vivissimi nella memoria degli appassionati. Eppure Marco era cambiato. Lo sguardo era spento, vuoto. Sembrava un fiore bellissimo, il più bello del giardino, che poco a poco stava appassendo. Non era il tempo a logorarlo, ma un malessere interno, fortemente radicato ed acuito da un ambiente improvvisamente ostile nei suoi confronti. Un mondo diviso tra permissivismo verso altre figure (vedasi il caso Armstrong) ed una sorta di vendetta verso chi negli anni precedenti aveva cannibalizzato brutalmente i Grandi Giri. Forse Marco aveva percepito una sorta di accanimento agonistico verso la sua figura nella corsa rosa del 2003. In quel Giro, Pantani era tornato a divertirsi. La gamba non era eccezionale, ma piaceva alla gente la sua caparbietà ed il suo reinventarsi attaccante. Il Pirata avrebbe tanto voluto vincere una tappa per dimostrare di avere ancora qualcosa da dire. Ci provò alle Cascate del Toce, con la corsa già decisa a favore di Simoni. Eppure nessuno gli lasciò un centimetro. Forse per ricordargli come dominava lui, forse per paura di una rinascita del campione. Marco capì e si fece da parte.
MONTECATINI E RIMINI: ADDIO AD UNA LEGGENDA
Quel sentimento di rivalsa nei suoi confronti, quasi astioso, era il macigno più grande da sopportare. Sembrava che ogni questione legata al ciclismo negativamente dovesse riguardarlo, anche quando non c’erano prove certe della sua colpevolezza, come per il caso della siringa ritrovata in un albergo di Montecatini nel 2001 ed attribuita immediatamente a lui. Il suo mondo ha perso pezzi. Lentamente il vortice cupo e nero della depressione lo ha avvolto. Purtroppo, il Pirata non ha trovato appigli a cui aggrapparsi, ma cattivi consiglieri che lo hanno portato fuori strada, nonostante l’affetto e la vicinanza dei cari. Il 14 febbraio 2004, in una stanza dell’Hotel Le Rose di Rimini si è conclusa drammaticamente un’epoca del ciclismo. Un’epopea fatta di scatti, tifo da stadio ed trionfi destinati a rimanere nel cuore degli appassionati.