Sono passati 35 anni dalla “Fucilata di Goodwood”, la volata con cui Giuseppe Saronni si laureò campione del mondo e scrisse una pagina indelebile del ciclismo azzurro.
UNA VOLATA STORICA
Mani basse sul manubrio e via. Giuseppe Saronni accelera senza pensarci su. Non si volta nemmeno. È sicuro di sé, ha colto l’attimo buono sull’ultima ascesa del circuito di Goodwood, sede del campionato del mondo 1982. Non è stato semplice riuscire a ritagliarsi lo spazio per sferrare l’attacco decisivo: la gara sul percorso posizionato a Sud di Londra è stata durissima per tutti a causa dei continui saliscendi e della velocità esasperante. E all’ultimo giro tutti hanno spinto al massimo per fare selezione. Come da aspettative, sono rimasti i migliori a giocarsi il titolo iridato. La stanchezza e la pressione hanno avvolto la corsa ed i suoi protagonisti. Eppure, quando lo statunitense Jonathan Boyer ha attaccato all’ultimo chilometro, il mal di gambe e l’acido lattico hanno smesso di attanagliare i big. C’era Greg Lemond in gruppo, l’uomo capace di vincere un Tour de France per soli 8 secondi. C’erano l’irlandese Sean Kelly, l’olandese Joop Zoetemelk, due mostri sacri nelle volate. Ma a cogliere l’attimo è stato un ragazzo italiano di 25 anni. Non appena viene ripreso Boyer, rimbalzato contro la pendenza degli ultimi mille metri, attacca in contropiede Saronni. È una pedalata potente, una fucilata, come diranno in seguito. Una stoccata che lascia impietriti tutti. Addirittura l’azzurro prosegue con un rapporto lunghissimo e particolarmente esigente per un finale con quelle caratteristiche. Roba da far impallidire gli avversari. Nessuno può seguire Beppe, non in quel 5 settembre 1982. Forse è un segno del destino che debba imporsi un italiano nell’anno della consacrazione della Nazionale di calcio di Bearzot e tre giorni dopo il barbaro assassinio del Generale Dalla Chiesa e della sua scorta da parte di sicari mafiosi. In fondo, è una vittoria che può nel suo piccolo rasserenare gli animi di un Paese scosso da una fase storica intensa. L’azione di Saronni è animata anche dalla rivalsa per un Mondiale sfumato all’ultimo solamente dodici mesi prima, a Praga, per opera del belga Maertens. C’è tutta la determinazione di chi vede sempre più vicino un sogno, una pedalata dopo l’altra. Ecco il traguardo. Beppe sente la fatica, pedala persino con le spalle. Ultimi cento metri. Uno sguardo alle sue spalle: il vuoto. Il temibile Greg Lemond è staccato. Può iniziare la festa. Saronni esulta sbracciandosi: è campione del mondo. Ha battuto Lemond e Kelly, distanti 5 e 6 secondi.
IL COLPO DI UN FUORICLASSE
La vittoria sul percorso inglese è stata solamente una delle tante perle di un campione straordinario. Professionista dal 1977, ha vinto tutto e dappertutto. A 21 anni, è riuscito a conquistare il Giro d’Italia al primo colpo, vestendo la Maglia Rosa nella cronoscalata di San Marino e trionfando nella cronometro all’Arena di Milano, davanti a Francesco Moser. Già, Moser, il suo alter ego, l’acerrimo rivale con cui diede vita ad un dualismo che divise profondamente l’Italia. Moseriano o Saronniano, niente via di mezzo. Come ai tempi di Coppi e Bartali, due azzurri intenti a dividersi le vittorie ed i tifosi. Il trentino vanta più vittorie nel proprio palmares, ma il novarese ha dalla sua le due affermazioni al Giro nel 1979 e nel 1983. In comune il titolo iridato ed una lettura della gara fuori dal comune. Moser aveva un ritmo eccezionale, Saronni era dotato di uno sprint più pungente e di una scelta dei tempi nella volata semplicemente eccezionale. Campioni diversi, ma ugualmente vincenti, capaci di scrivere capitoli intensi di una vera e propria epopea su due ruote. Per Beppe, la conclusione di una carriera straordinaria è arrivata nel 1990, anche se il suo mito è rimasto più vivo che mai nella memoria e nei cuori degli appassionati. Ora, il novarese sfrutta l’esperienza ed il suo straordinario fiuto per la vittoria per guidare al successo i ragazzi del team UAE Emirates, squadra di cui è il manager. E chissà se a qualcuno dei suoi corridori verrà in mente prima o poi di imitare la sua leggendaria “sparata”.