Sono trascorsi sette anni dalla tragica scomparsa di Wouter Weylandt al Giro d’Italia. Un evento triste e doloroso, entrato purtroppo nella storia della corsa rosa.
IL DRAMMA DIETRO AD UNA CURVA
Il destino è strano. Fa scorrere gli eventi seguendo una trama incomprensibile ed ingarbugliata. Talvolta, addirittura spietata. Solamente un regista sadico potrebbe studiare una tragedia paragonabile a quella del 9 maggio 2011. Wouter Weylandt è un ciclista della Leopard Trek, convocato in extremis per sostituire Daniele Bennati al Giro d’Italia. Un cambio di programma per il velocista belga, alla sua prima stagione con la sua nuova squadra dopo un’esperienza più che discreta nella Quick Step. La corsa rosa comunque gli piace. In fondo, gli ha regalato una gioia immensa l’anno prima alla terza tappa. Già pregusta un finale analogo per una delle prossime frazioni mentre inizia la discesa del Passo del Bocco che porta al traguardo. Wouter non concluderà mai quel maledettissimo terzo arrivo del Giro 2011. Una piccola distrazione dettata dalla generosità e dall’altruismo che contraddistinguono i buoni lo porta ad approcciare con una traiettoria leggermente larga una curva. Cerca di frenare. Fermati, dannata bici! Fermati! Un pedale tocca l’asfalto. Weylandt finisce contro un muretto e rimbalza in strada. È un urto violentissimo. Improvvisamente tutto si fa grigio. Niente più cori e feste. L’unico rumore udibile è il sinistro squillare delle sirene dell’ambulanza per il soccorso immediato ed il turbinio delle pale dell’elicottero destinato a portare “Wout” al primo ospedale vicino. Si comprende in fretta che non c’è nulla da fare. Il destino si è preso Weylandt apparendo all’improvviso, nella maniera più crudele ed imprevedibile.
IL VUOTO DI UN SORRISO
Sorrideva spesso Wouter. Era un sorriso contagioso e genuino. Un volto da bravo ragazzo con quella criniera di capelli sbarazzini sparacchiati in alto, quasi a conferirgli un’aria da rock star quale non era. Ma quale ribalta? No, meglio un basso profilo. Meglio pedalare senza proclami, ma con il sorriso stampato in volto perché la bicicletta gli piaceva tanto. E poi che belle le vittorie inaspettate e sudate, tutte figlie di tanto lavoro e di una dote naturale per lo sprint. Ci aveva preso gusto “Wout”. Si notava anche dalla sua esultanza di fronte ad un successo, con quel sorriso enorme e le braccia allargate a dismisura, con i gomiti leggermente rientranti. Gli era riuscito sempre con la Quick Step, sognava di festeggiare anche con la Leopard Trek, magari battendo in volata i suoi due cari amici Tyler Farrar e Tom Boonen. Sai che divertimento poi nel dopo gara a riderci e scherzarci su? Ed invece no. Passo del Bocco e la sua maledettissima discesa hanno deciso diversamente.
108 SEMPRE PRESENTE
Noi ciclisti siamo come una grande famiglia. Sì, uso il plurale perché non serve una ricca bacheca per sentirsi un ciclista. C’è chi ha fatto della bici la sua professione e chi coltiva la passione a due ruote nel tempo libero. Ci sono i talentuosi, baciati da un dono divino, ed i semplici appassionati, pedalatori nelle domeniche. Eppure, la bellezza del ciclismo è l’uguaglianza di tutti di fronte a quel mezzo di spostamento dal sapore di antica modernità e di epica immortale. Non c’è differenza tra la passione del vincitore di una corsa internazionale e quella dell’ultimo degli amatori. Volendo ben vedere, non sono diverse nemmeno le strade da percorrere, giusto per sottolineare ulteriormente la vicinanza tra professionisti e semplici amanti di questa disciplina. Se il ciclismo è come una grande famiglia, il Giro d’Italia è una sorta di grande riunione. I parenti , specialmente se solitamente lontani, tornano per una visita affettuosa, nonostante la sua fugacità. Ecco, quando viene a mancare uno dei famigliari, anche se meno appariscente davanti alle telecamere, il vuoto si sente, eccome se si sente. Tutti noi proviamo un improvviso senso di vicinanza e di immedesimazione. In fondo, la nostra bicicletta non è poi troppo diversa da quella di Wouter. A chi non è capitato di impostare malamente una curva in discesa? Insomma, Passo del Bocco poteva essere una trappola fatale anche per altri membri della famiglia. E allora non si può non pensare all’ineluttabilità del destino, a quanto sia beffarda e strana la vita. Fa soffrire pensare alla moglie, la bella Anne-Sophie, e alla creatura che portava in grembo, mentre il fato si prendeva il suo grande amore. Una bella famiglia allegra distrutta da una festa dello sport. Non potrebbe essere più ingiusto questo mondo! Eppure, forse, possiamo solamente pensare alla piccola Alizée, la figlia di “Wout”, come ad un dono fatto per andare avanti, sempre tenendo nella mente e nel cuore il sorriso e la genuinità del belga numero 108 al Giro 2011. Anche a sette anni di distanza, la grande famiglia del ciclismo non dimentica: 108 presente!