Si è concluso il processo sull’omicidio di Marco Pantani. La Cassazione ritiene inammissibile il ricorso presentato dalla famiglia dell’ex ciclista.
L’ARCHIVIAZIONE DEL CASO
Il caso è chiuso: Marco Pantani non fu ucciso. Questo è l’esito di tre anni di continui rumors, richieste di riapertura delle indagini e di nuove presunte prove a sostegno dell’ipotesi di un fatto violento all’origine della morte del ciclista romagnolo, trovato deceduto al residence “Le Rose” di Rimini il 14 febbraio 2004. L’avvocato della famiglia Pantani, Antonio De Rensis, aveva presentato ricorso dopo la decisione di archiviare il caso da parte del Gip di Rimini nel giugno 2016. Un anno e tre mesi dopo, la sentenza non modifica la sostanza dei fatti e rigetta la richiesta di rivedere le indagini iniziali a causa dell’assenza di possibili indizi.
LA RIAPERTURA DELLE INDAGINI ED IL PRIMO VERDETTO
L’idea dell’omicidio come causa del decesso di Marco era sorta nel corso dell’estate 2014. Visionando i filmati dell’analisi del luogo del delitto, si notavano diversi errori nell’ispezione della camera incriminata. Non vennero mai prese le impronte digitali. Inoltre, l’interrogatorio di diversi testimoni dell’epoca e la perizia medico-legale del dal professor Francesco Maria Avato aprirono ulteriori scenari. Si parlò di e alterazione del cadavere e dei luoghi. Insieme a Pantani, in quella stanza d’albergo, c’era qualcun altro. Marco non era solo, come si era sempre pensato. Conosceva la persona con cui si trovava. Quel qualcuno, però, avrebbe aggredito il campione romagnolo. A sostegno di questa tesi, ci sarebbero anche le due chiamate alla reception, con tanto di richiesta di intervento dei carabinieri. La lite avrebbe presto assunto connotati tragici, con Pantani massacrato brutalmente e costretto a bere un bicchiere con cocaina sciolta in acqua. La bottiglia contenente quel cocktail letale rimase sul tavolo, ma non venne mai analizzata. Elementi che, a dieci anni di distanza, spinsero la Procura di Rimini a riaprire il caso, riaccendendo le speranze della mamma di Marco, Tonina, di far luce su questa vicenda. Speranze fermatesi una prima volta, nel giugno dell’anno scorso, ed ora definitivamente con la sentenza della Cassazione.
LE OMBRE SULLA FINE DI MARCO
La conclusione del processo giudiziario non allontana totalmente le ombre su un caso destinato a far discutere. Marco era veramente da solo al momento della sua morte? Perché quelle omissioni nelle indagini? Perché non è mai stata presa in considerazione l’ipotesi di un alterazione della scena del crimine, resa possibile dal lasso di tempo intercorso tra la morte avvenuta prima di mezzogiorno e l’accertamento verificatosi solamente nel tardo pomeriggio? I quesiti permangono e non trovano una risposta convincente.