Il 22 aprile 2017 veniva a mancare in un terribile incidente stradale il ciclista vincitore del Giro d’Italia 2011. A distanza di 24 mesi proviamo a valutare cosa è rimasto di quella tragedia e tracciamo un ricordo di Michele.
C’è stato il tempo dei sorrisi, del divertimento, delle pedalate spensierate. Michele Scarponi aveva la capacità di sdrammatizzare con facilità, di dare un suo tocco personale a ciò che accadeva. Nonostante la fatica per i tanti chilometri trascorsi, il ciclismo restava sempre una piacevole passione prima ancora di un lavoro per il marchigiano. Naturale che, con un simile approccio, sia riuscito a togliersi grandi risultati nonostante una concorrenza nutrita. E forse è altrettanto normale che tutti adorassero Michele, dentro e fuori il mondo delle corse. Persino Frankie, un esemplare femmina di pappagallo che aveva scelto proprio Scarponi come compagno di uscite preferito. Quando il ciclista dell’Astana andava ad allenarsi, veniva immediatamente scortato dal volatile, pronto ad appollaiarsi sulla bicicletta o a farsi trainare dall’amico. Un periodo meraviglioso interrotto bruscamente ad un incrocio dell’amata Filottrano, dove la corsa di Michele è stata falciata dall’arrivo improvviso di un furgoncino. Un incidente si è portato via la vita prima di Michele e poi di Giuseppe Giacconi, piastrellista amico del ciclista alla guida del mezzo, distrutto dal dolore per l’accaduto e dall’aggravarsi di un tumore divenuto via via sempre più grave.
ALTRUISMO
Di Michele resta il ricordo di una persona sorridente e gentile. E soprattutto generoso. Scarponi ha sempre dato tutto. Non si risparmiava mai, da vero guerriero qual era. Era capace di azioni coraggiose, a volte attaccando anche da lontano. Non aveva l’impeto degli immortali, ma era dotato di una tempra incredibile e di soluzioni incredibili. Riusciva a vincere volate con gruppi ristretti, come a Benevento al Giro d’Italia 2009 o a lasciare sul posto gli avversari con micidiali progressioni. Michele ha vinto tanto: una Tirreno-Adriatico ed un Giro d’Italia i successi più importanti. Ma si è contraddistinto anche per l’altruismo da gregario. Vincenzo Nibali gli deve tanto. Sicuramente, per lo Squalo sarebbe stato quasi impossibile vincere la corsa rosa del 2016. La sua rimonta nelle ultime tappe fu agevolata dal forcing di Michele, che, lanciato verso un possibile successo, preferì fermarsi ed aiutare il proprio capitano. Un gesto entrato subito nel cuore e nella memoria degli appassionati.
EREDITÀ
Ma cosa è rimasto di quella tragedia? Indubbiamente il dolore per la perdita di un campione. Ma l’Italia non ha fatto grandi progressi dopo la morte di Michele. I numeri riportati da Aci e Istat dicono che tutt’ora nel nostro paese muore un ciclista ogni 32 ore e gli incidenti mortali sono aumentati del 9,6% rispetto all’ultimo anno. Secondo quanto riportato da Treccani, il rischio di mortalità per chi va in bicicletta è di 2,18: giusto per rendere un’idea, il dato riguardante i pullman è pari a 0,48, quello dei camion a 0,67, mentre le automobili si fermano a 0,78, i motorini a 1,06 e le moto a 1,96. L’allarme è piuttosto serio: in Italia si verificano 51 morti ogni miliardo di km pedalati. In Francia, il dato si attesta a quota 28. Cifre che rendono il nostro paese il più pericoloso in Europa per chi va in bici. Insomma, c’è un’emergenza grave, una strage assurda che prosegue senza sosta e senza alcun rimedio. Ma è veramente impossibile arrestare questa striscia di sangue? Basterebbe utilizzare al meglio buon senso e misure precise, mantenendo una corretta distanza di sicurezza dai ciclisti in fase di sorpasso ed applicare le norme del codice stradale. Apparentemente, la normalità. Di fatto, una lotta durissima contro vecchi e pessimi costumi.
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