Il Tour de France si è concluso ieri, e ha visto trionfare Geraint Thomas: il bilancio della Grande Boucle, ecco come si sono comportati gli azzurri in una corsa che ha visto regnare caos e disorganizzazione.
TOUR DE FRANCE 2018, IL BILANCIO: THOMAS SORPRENDE TUTTI ED ESULTA, DUMOULIN-FROOME A PODIO E CHE ROGLIC!
Chi l’avrebbe mai detto? Quando Geraint Thomas ha vestito per la prima volta la maglia gialla nel Tour 2018, tutti si aspettavano un tracollo alla Simon Yates sulle prime salite impegnative, e invece non è successo niente di tutto questo: il gallese ed ex compagno di classe di Gareth Bale è stato strepitoso, ha controllato al meglio la corsa e vinto a La Rosiére e sull’Alpe d’Huez, vestendo il giallo per 11 giorni e non perdendo mai il controllo della Grande Boucle. Certo, è facile non perdere il controllo quando hai come gregari i vari Castroviejo, Poels, Kwiatkowski e Bernal e un Chris Froome dalla tua parte (sui due le voci sono discordanti: per alcuni sono grandi amici dai tempi della Barloworld, per altri GT non vedeva l’ora di battere Froomey), ma il Tour de France del 32enne nato a Cardiff verrà ricordato come quello della sua esplosione dopo i fallimenti e gli infortuni passati. Thomas ha inflitto 1’51” a Tom Dumoulin, che è andato fortissimo in salita e paga quella foratura che gli ha fatto perdere oltre 1′: la farfalla di Maastricht ha già comunicato a tutti che andrà nuovamente all’inseguimento del Tour nel 2019, anche perchè va ricordato che è arrivato secondo dopo aver fatto un grande Giro d’Italia. Terzo e soddisfatto invece Chris Froome, che ha patito alcune salite dopo le fatiche del Giro e vissuto un clima drammatico (vedi ultimo paragrafo): ha vinto il Giro, chiuso terzo in Francia a 2’24” da Thomas (grazie anche a Bernal, strepitoso) e ora si riposerà per andare all’assalto del Mondiale. Dopo i big three, ecco Primoz Roglic, autore del Tour de France della consacrazione. Fino al 2016 non era professionista, fino a 6-7 anni fa era un saltatore con gli sci, e nel giro di tre stagioni ha vinto una tappa al Giro, due tappe di montagna al Tour e disputato una Grande Boucle sontuosa, nella quale era il più in forma in salita e ha perso il podio solo perchè ha speso troppo nella frazione di Laruns, compromettendo la cronometro finale.
Con lui, meritano applausi Alaphilippe (che ha dominato nella maglia a pois), van Avermaet (8 giorni in giallo) e Peter Sagan per la sesta maglia verde, ma soprattutto li merita Lawson Craddock: lo statunitense della Education First si è rotto la scapola nella prima tappa, ma ha proseguito la corsa e l’ha chiusa con onore, non finendo mai fuori tempo massimo e donando denaro in beneficenza per ogni frazione completata. Un vero eroe, mentre hanno deluso e non poco gli uomini-Movistar: la squadra spagnola si è presentata al via con Quintana, Valverde e Landa e avrebbe potuto distruggere la corsa e sfiancare la Sky, ma non l’ha fatto. Quintana ha vinto nella mini-tappa del Col du Portet, ma Movistar ha fatto poco altro: qualche fuga di Valverde e un paio di attacchi di Landa, che si è però sistematicamente staccato sulle accelerazioni dei big della generale e ha chiuso 7° a 7’37’. Decimo invece Quintana, che nelle ultime due tappe ha perso 11′: ormai Nairo parte per vincere e si squaglia negli ultimi giorni, e a 28 anni sembra avviato verso una vita da eterno incompiuto. Con lui, ha deluso Bardet: in Francia tutti si aspettano che vinca un grande giro, ma continua a fallire l’obiettivo e vivere ”da gambero”. Ha chiuso 2° nel 2016, terzo nel 2017 e ora 6° senza mai essere protagonista: chi invece è stato subito tagliato fuori dalla lotta per la vittoria è stato Adam Yates, che si è riciclato come fuggitivo di lusso. Out per la maledizione della 9a tappa Richie Porte: infortunio e ritiro per lui. Tra i non uomini di classifica, disastroso Kittel, che non è mai stato in gara per vincere una volata, mentre Gaviria è andato fuori tempo massimo dopo un buon avvio e i duelli con Sagan.
TOUR DE FRANCE, LA GARA AZZURRA: SFORTUNA NIBALI, OTTIMI PASQUALON E COLBRELLI
Vincenzo Nibali ricorderà sempre il Tour de France 2018 come una grande occasione persa: la sua corsa si è interrotta sull’Alpe d’Huez, quando un tifoso l’ha agganciato con la tracolla della sua macchina fotografica e l’ha fatto cadere. Per lui la frattura di una vertebra che andrà operata, e lo costringerà a saltare la Vuelta e rincorrere la convocazione ai Mondiali di Innsbuck, dove sarà tra i favoriti per un percorso da scalatori puri: Vincenzo avrebbe potuto conquistare il podio in questo Tour, dato che era quarto e non si era praticamente mai staccato in salita. Con Nibali out, i nostri uomini di classifica si sono ridotti a Pozzovivo e Caruso: 39′ di ritardo per Domenico, 43′ per il corridore della BMC, ed entrambi si sono trovati capitani dopo gli infortuni dei rispettivi leader. Pozzovivo, reduce dal Giro, ha chiuso in crescendo, mentre Caruso si è fatto notare più per le fughe che per le mosse in salita.
E così, del Tour de France italiano ricorderemo più le volate che le salite. Sontuoso Andrea Pasqualon, scartato dalle squadre italiane e diventato un leader nella belga Wanty: il ciclista veneto è arrivato al Tour dopo aver vinto due tappe e la classifica generale nel Tour of Luxembourg, e ha ottenuto una grande serie di piazzamenti importanti negli sprint. Sono cambiati i vincitori e la maglia verde è stata vestita da Gaviria e dal vincitore Sagan, ma il corridore di Bassano del Grappa è stato sempre fisso nella top-10 e ha chiuso settimo nella classifica a punti. Chissà che questi risultati non gli aprano le porte di una grande squadra, mentre è già in un top team Sonny Colbrelli: del suo Tour ricorderemo il secondo posto alle spalle di Sagan e tanti piazzamenti. Meno appariscenti, ma utilissimi, Oss e Guarneri: il primo è stato il fido apripista di Sagan e ieri ha tentato il colpo gobbo all’ultimo km sugli Champs-Elysées, il secondo ha tirato le volate di Demare.
TOUR DE FRANCE, LE NOTE DOLENTI: DISORGANIZZAZIONE E NON SOLO
Il Tour de France 2018 verrà ricordato come la Grande Boucle della disorganizzazione e della pessima gestione da parte degli organizzatori. I momenti peggiori li ha vissuti il Team Sky: Froome, ospite non gradito che è stato ammesso solo dopo l’assoluzione dell’UCI per la positività al salbutamolo, non è stato minimamente protetto dalle intemperanze del pubblico francese, che si è scagliato contro di lui e contro la Francia. Per tutto il Tour, Froomey e il Team Sky si sono sentiti urlare ”dopati”, sono stati insultati dal pubblico e si sono visti lanciare addosso urine e oggetti: il punto più basso di questa malagestione, che non ha risparmiato neppure Geraint Thomas, si è visto quando un gendarme ha gettato a terra Froome mentre stava rientrando ai bus dopo la fine della tappa sul Col de Portet. Si è giustificato sostenendo di averlo scambiato per un cicloamatore e un intruso, ma non gli ha creduto nessuno: quel tipo di atteggiamento ”da bulletto” rispecchia un po’ quello del Tour nei confronti del vincitore del Giro 2018. Gli organizzatori non lo volevano al via, e col loro atteggiamento hanno prima aizzato la folla contro di lui, e poi l’hanno lasciata fare senza intervenire.
Di fatto, l’unica mossa dell’ASO è stato il divieto (giusto) dei fumogeni, ma poi le pecche organizzative sono state abnormi: troppe moto e troppo vicine alla corsa, tifosi liberi di entrare con qualsivoglia oggetto e avvicinarsi ai corridori per fare foto durante la corsa (vedi il caso-Nibali) e non solo. Il Tour è stato anche funestato dalla protesta dei contadini, che hanno bloccato la corsa e sono stati respinti a suon di lacrimogeni e gas al peperoncino: ovviamente mentre passavano i corridori, che sono stati colpiti dai gas e hanno rischiato di dover interrompere la propria corsa o perdere secondi/minuti. E poi, per completare il tutto, il caso-Demare: il francese sulla scalata finale verso il Col du Portet ha perso pochissimo (9′) da Quintana, e i suoi dati su quell’ascesa suscitano dubbi. In molti l’hanno accusato di essersi fatto (nuovamente, era già successo nella Milano-Sanremo vinta nel 2016) trainare dalla sua ammiraglia, e il dubbio sugli aiutini della Groupama-FDJ resterà sempre, a maggior ragione dopo che Demare ha vinto la tappa seguente dimostrando di essere il più riposato tra i velocisti. Ma la disorganizzazione ha raggiunto momenti catartici nella cronometro di Espelette: l’organizzazione ha fatto sbagliare strada a Pasqualon, che è partito con sei minuti di ritardo e ha perso molto tempo. Come chiudere un Tour disastroso nel peggiore dei modi.
E il Tour non ha convinto neppure dal punto di vista del percorso: la prima settimana è stata tutta per i velocisti, con la mini-Roubaix a spezzare la routine degli sprint. E la seconda settimana è stata più dura della terza, che di fatto eccezion fatta per il Col du Portet non ha dato scossoni alla generale: troppo pochi gli arrivi in salita della Grande Boucle 2018, troppe salite ormai ”pedalabili” per i ritmi del ciclismo moderno e dalle pendenze basse, e soprattutto troppe ascese lontane dall’arrivo e dopo km e km di discesa. Il Tour, dal punto di vista del percorso, prende paga sia dal Giro che dalla Vuelta, e continua a vivere della propria luce riflessa: il nome Tour de France attirerà sempre i corridori anche con percorsi poco impegnativi, l’organizzazione lo sa bene e non si impegna troppo negli esperimenti. Basti pensare che ormai da un paio d’anni non si scala neppure il Mont Ventoux, salita spesso imprevedibile e difficilissima. E non siamo fiduciosi neppure sul percorso 2019: ASO ci ha spesso dimostrato di infischiarsene delle critiche universali, e difficilmente costruirà un Tour impegnativo e dalle alte pendenze.
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