Il colombiano del team Ineos vince la classifica generale e la competizione riservata ai giovani. Sul podio di Parigi gli fanno compagnia Peter Sagan, il più regolare nei punteggi, Romain Bardet, re della montagna, e Julian Alaphilippe, tenace e combattivo.
“Tutti per uno ed uno per tutti”. Egan Bernal, Peter Sagan, Romain Bardet e Julian Alaphilippe sembrano ripetere il celeberrimo motto dei quattro moschettieri, protagonisti del romanzo di Alexandre Dumas. I protagonisti del Tour de France ricevono l’applauso di Parigi, riunita intorno al palco per celebrare le loro imprese. Tutti hanno percorso lo stesso itinerario, vivendo però attimi e sensazioni completamente diverse tra loro. C’è chi ha vissuto la Grande Boucle con ambizioni poi confermate dai risultati e chi ha sorpreso gli altri, stupendo soprattutto sé stesso. C’è persino chi ha toccato l’inferno ed ha saputo risalire la china, riprendendosi il Paradiso ciclistico. Dalle volate a folle velocità alla sofferenza delle salite: ognuno dei quattro moschettieri rappresenta una sfumatura diversa della corsa gialla.
ATHOS
Intelligente ed affascinante. La penna di Dumas tratteggia Athos come il più invidiato del trio originario. Un personaggio ammirato persino dal protagonista D’Artagnan. Chissà in quanti si saranno innamorati della lucida follia pensata da Julian Alaphilippe. Il capitano della Deceuninck Quick-Step ha mostrato una maturità incredibile in questo 2019. Pochi gli errori, tante le intuizioni vincenti, a dimostrazione che due ottime gambe non fanno un campione perché l’intero impianto va sostenuto con testa e cuore. Al Tour non si smentisce. Va in giallo grazie ad un’azione tenace. Perde leggermente terreno sui Vosgi, ma si rivela granitico sui Pirenei. Come Athos, è scaltro ed intelligente. Dimostra di aver imparato la lezione del maestro Thomas Voeckler, ma non riesce ad evitare lo stesso medesimo finale, con le Alpi implacabili nel disegnare l’epilogo più triste e crudele. La platea, però, ne premia il coraggio. Un numero bianco su sfondo rosso è il simbolo dell’onore, salvato dagli innumerevoli arrembaggi.
ARAMIS
Tra i componenti del trio originario, Aramis appare come il meno estroverso, apparentemente lontano dal proprio ruolo e più vicino alla vita religiosa. Romain Bardet, per certi aspetti, condivide un destino analogo. Tutti si attendevano il francese della Ag2r come uno dei possibili contendenti alla maglia gialla. Ed invece Vosgi e Pirenei respingono subito i sogni di gloria della stella transalpina. Da protagonista a reietto nel giro di due settimane. Ma Bardet è un viaggiatore indomito, uno che sa districarsi ed uscire fuori in qualche modo dalla selva oscura dei suoi patemi. Sfumato il podio, via alla caccia alla maglia a pois. La classifica degli scalatori diventa realtà riprendendo possesso del vecchio terreno amico. E così l’amarezza pirenaica cede il posto al sorriso alpino.
PORTHOS
Dumas si lascia andare quando disegna la figura di Porthos. Mai banale e spesso oltre le righe, è certamente il più espansivo tra i moschettieri. Allo stesso modo, Peter Sagan è lo showman tra i vincitori delle varie classifiche della Grande Boucle. Arrivato con tanti dubbi sulle strade francesi, il tre volte campione del mondo è tornato sé stesso. Una vittoria di tappa, tanti piazzamenti e numeri per infiammare gli spettatori. Sul Tourmalet si è persino preso il lusso di autografare una copia del proprio libro ad un tifoso durante la corsa. Una rock star priva dei vizi da divo, vicina all’appassionato di cui condivide lo stesso amore per la bici. Ma l’aria da guascone non deve ingannare: Sagan è una macchina da record. Dopo i tre titoli iridati consecutivi mai riusciti a nessuno, ecco la settima maglia verde, superando anche la leggenda Zabel. I primati sono fatti per essere battuti. Farlo con la spensieratezza di un ragazzino rende le imprese ancora più epiche.
D’ARTAGNAN
Nel 1625 Charles D’Artagnan arriva a Parigi per diventare moschettiere. È giovane ed inesperto, ma ha un talento innato per il combattimento con la spada. La compagnia di Athos, Porthos e Aramis lo fa crescere e poco a poco si scopre un uomo sempre più maturo. Lo spaesamento del giovane francese potrebbe essere paragonabile a quello che avrà provato Egan Bernal in questi quattro anni. Colombiano classe 1997, ha lasciato tutto per inseguire un sogno, proprio come D’Artagnan. Voleva essere un ciclista professionista e per farlo ha cambiato vita e continente. Ha imparato l’arte del ciclismo in Italia, notato e sgrezzato da Gianni Savio, il primo a metterlo sotto contratto con l’Androni Giocattoli. Poi l’accoglienza nell’esercito regio, il padrone indiscusso di Parigi negli ultimi anni. Si chiama team Sky, poi ribattezzato Ineos. Da guardia di Re Chris Froome, Egan riesce lentamente a ritagliarsi un suo spazio. La sorte gli affida i galloni da capitano al Tour. Una corsa in cui va difeso l’onore del sovrano infortunato. Fino all’ultima settimana, la crescita di Bernal-D’Artagnan sembra procedere lentamente. Poi le Alpi accelerano il corso. Galibier e Iseran sono le cornici dei suoi capolavori, quando, armato della sua Pinarello e di un cuore immenso, lascia sul posto la concorrenza e vola verso l’impresa. A 22 anni, da maglia bianca, simbolo del miglior giovane della gara, Egan ce l’ha fatta. E come D’Artagnan si è guadagnato fama e rispetto da parte del mondo intero.