Olimpiadi invernali 2018. L’Italia del curling perde anche contro la Corea del Sud. L’intervista allo skip Joël Retornaz.

Cammino sempre più in salita per la Nazionale italiana di curling a PyeongChang 2018, che perde anche contro i padroni di casa per 6-8 e subisce la terza sconfitta consecutiva. Joël Retornaz è comunque soddisfatto della crescita della squadra rispetto a Torino 2006, come ha dichiarato al nostro inviato Luca Lovelli.

Joël Retornaz, 34 anni, skip della Nazionale italiana di curling maschile FONTE WORLDCURLING.ORG

OLIMPIADI INVERNALI 2018, TERZA SCONFITTA PER L’ITALIA DEL CURLING. L’ANALISI DI JOËL RETORNAZ

Joël, che partita è stata contro la Corea?
È stata un partita “a inseguimento”: non siamo mai riusciti a imporre il nostro gioco, abbiamo sempre dovuto lottare per tenere la testa fuori dall’acqua e riuscire a mantenere la partita in parità. Ci abbiamo provato fino alla fine a girarla, ma non ce l’abbiamo fatta. Loro hanno giocato bene, erano anche motivati dal pubblico di casa.

Adesso vi resta l’obiettivo di vincere almeno un’altra partita?
Ci resta l’obiettivo di giocare bene. Abbiamo ancora due partite a disposizione: perché non vincerle entrambe? Noi giochiamo per noi stessi, per chi ci guarda da casa, per una nazione: siamo qui per fare bella figura, per far vedere che ci stiamo in questo palcoscenico mondiale. Non penso che avremo chances di accedere alle semifinali, ma ce la giocheremo a testa alta anche nelle ultime due partite.

Cosa provi qui rispetto a Torino 2006?
Torino 2006 è stato dodici anni fa, quindi si parla di un curling diverso, una squadra diversa. Paragonare le vittorie di allora a quelle di oggi non ha tanto senso. Possiamo anche rimanere con due sole vittorie in questi Giochi, ma abbiamo la consapevolezza di essere una squadra molto più matura, che si è qualificata qui perché ha saputo farlo “sul ghiaccio” diversamente da quanto successo nel 2006. A Torino portammo a casa quattro vittorie un po’ inaspettate, qui c’è la consapevolezza di avere un gruppo buono che può fare bene anche nei prossimi anni a livello internazionale.

Come è stata l’esperienza olimpica finora?
Già essere alle Olimpiadi è qualcosa di fantastico per tutti, solo pochi eletti possono dire di aver fatto un’Olimpiade. Questa è la mia seconda: ho ritrovato qui tante sensazioni che avevo vissuto a Torino 2006. Se il curling è cresciuto come movimento da allora ad oggi? Nì: è cresciuto un gruppo, ma non è che dietro di noi ci sia la fila di squadre competitive. Non so dirti quanti giocatori ci siano, ma non penso che siamo molti di più di quelli che già avevamo a Torino.

Cos’è cambiato nel curling in questi anni?
Il curling internazionale è molto più competitivo, professionale. È più difficile emergere oggi rispetto a dodici anni fa, quando c’era più gap tra una squadra forte e una meno forte. Ora tutte se le danno di santa ragione. È più difficile fare risultati da medaglia. Già essere qui è una cosa molto positiva per il curling italiano. Poi andremo ai Mondiali di Las Vegas ad aprile per la terza volta in quattro anni. A Torino 2006 arrivavamo forti dell’esperienza al Mondiale l’anno prima. Ci siamo stati anche nel 2010 a Cortina d’Ampezzo (l’Italia fu Paese ospitante, ndr) e la qualificazione successiva fu quella del 2014. E dal 2014 ad oggi abbiamo fatto tre Mondiali consecutivi.

Quante volte ti alleni?
Mi alleno due-tre volte a settimana da solo, poi c’è l’allenamento in palestra e ci si vede nei weekend per allenarci con la squadra a Pinerolo insieme a Simone Gonin. Poi dipende da dove sono i raduni. Dipende comunque dal tipo di attività che abbiamo nei fine settimana: se c’è il campionato, la Coppa del Mondo, i raduni della Nazionale. Purtroppo siamo dislocati un po’ su tutto il territorio.

Dopo PyeongChang continuerai a giocare o hai in mente di fare altro?
Finché mi diverto e finché riesco a esprimere un curling di buon livello, continuerò a giocare. Smetterò il giorno in cui non mi divertirò più e sentirò di non essere più performante quanto lo sono oggi. Sicuramente non sono finito a livello di età.

Immagino che non si possa vivere di curling…
Assolutamente no. Abbiamo un solo professionista, che è Amos Mosaner. Anche da questo punto di vista, penso che andrò avanti a giocare finché riuscirò a conciliarlo con la mia vita lavorativa e privata.
Cosa bisogna fare ora per far emergere il curling come sport?
Vanno fatti dei ragionamenti a livello nazionale, con la Federazione, con il CONI: bisogna capire se il curling sia uno sport sul quale valga la pena investire e bisogna cercare di mantenere questa ondata di entusiasmo, che si crea ogni quattro anni intorno alla squadra. Siamo riusciti ad arrivare fino a qui con tanto sacrificio: se ci fosse un occhio di riguardo in più su questa disciplina, potremmo avere un’altra Nazionale tra quattro anni alla prossima Olimpiade e non dover aspettare di nuovo dodici anni. Mancano le strutture, però anche lì è come il cane che si morde la coda: ci sono poche strutture perché ci sono pochi praticanti, ma i praticanti non arrivano perché non ci sono le strutture.
Cosa faresti per invogliare i bambini a fare curling?
Si porta il curling nelle scuole. Ci si prova. Sono andato anch’io a far promozione nel paese dove abitavo in Italia, ma non siamo noi atleti a dover dare il là a queste cose. È qualcuno sopra di noi che deve cercare di fare promozione.
Il presunto caso di doping che c’è stato nel curling ha stupito un po’ tutti…
Sì, lascia un po’ perplessi. Ora aspetteremo le analisi ufficiali. Penso sia un po’ stupido, indipendentemente dal fatto che sia successo nel curling, se fosse confermato… Il doping nello sport non ha senso. Se vinco, voglio vincere perché sono più forte di te e non perché assumo sostanze che mi permettono di fare meglio di te. Bisogna però sfatare il luogo comune che nel curling non si faccia fatica: se ne fa tanta, gli scopatori devono dare tanto e alla fine della partita sono stanchi morti. Io forse faccio meno fatica fisica e più fatica mentale, perché sono quello che sceglie le strategie. Ma bisogna vincere puliti.

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Stefano Sfondrini
Radio per lavoro, ma non emetto sentenze. Bevo caffè senza zucchero perché ho capito che "amare significa poco dolci" [San Galli, protettore degli umoristi]

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