Olimpiadi invernali 2018, curling: l’Italia non si qualifica per le semifinali, ma la partecipazione a questi Giochi ha un significato importante. Ecco perché il lavoro fatto da Joel Retornaz e compagni non deve essere vanificato.
SEMPRE LA STESSA STORIA
Ogni 4 anni, da Torino 2006, è sempre la stessa storia.
“L’Italia si è innamorata del curling“, si legge più o meno dappertutto con l’avvicinarsi delle Olimpiadi invernali di turno. A maggior ragione alla vigilia di questa edizione, alla quale l’Italia maschile si è qualificata per la prima volta sul campo e non d’ufficio come accadde per i Giochi del capoluogo piemontese.
Una qualificazione ottenuta grazie anche a un vero e proprio sistema di convocazioni che lo staff tecnico ha adottato mettendo insieme i giocatori più forti delle varie squadre del Belpaese. In precedenza era il team più forte del campionato a diventare, in blocco, la vera e propria nazionale italiana. Un cambio di rotta che ha quindi portato a dei risultati concreti.
Ma come si traduce nella realtà l’amore (o presunto tale) per questo sport?
È lo stesso Joel Retornaz, capitano e uomo di maggiore esperienza della squadra italiana, a fare chiarezza: “Da Torino 2006 non è cambiato poi molto. Ci sono pochi impianti in cui praticare questo sport e a oggi Amos Mosaner è l’unico professionista, dato che fa parte dell’Aeronautica Militare”.
È un cane che si morde la coda. I giovani non si avvicinano al curling perché ci sono poche strutture e allo stesso tempo ci sono poche strutture perché non ci sono praticanti.
All’interno dei nostri confini sono presenti meno di 400 tesserati, per la maggior parte sparsi tra Piemonte e Trentino-Alto Adige. Pinerolo, Cortina d’Ampezzo, Val Pusteria e poco altro: questi i territori dove sono presenti i palazzetti nei quali fare pratica.
Una disciplina che suscita curiosità e simpatia, ma che viene vista più come un passatempo invece che qualcosa di serio. Sarà per quelle strane stone che scivolano sul ghiaccio, per quelle scope in azione a velocità folle e per quegli atleti dal fisico non proprio statuario. Il curling, però, è uno sport serio.
Provate a chiederlo agli scandinavi, ai canadesi (che vantano oltre un milione di tesserati), agli statunitensi o anche agli scozzesi, dal cui paese proviene il granito originale con cui si realizzano le stones. Un materiale che si trova solo sulla piccola Isola di Ailsa Craig, situata al largo della costa britannica.
Ed è notizia fresca anche la positività al meldonium di Alexander Krushelnytsky, atleta russo vincitore del bronzo olimpico nel mixed team a PyeongChang 2018 in coppia con la moglie Anastasia Bryzgalovoy. Mentre tutti si interrogano sulla effettiva utilità del doping in uno sport come il curling, è proprio Retornaz a fare chiarezza:“L’assunzione di sostanze proibite può migliorare eccome le prestazioni di noi atleti. Magari non le mie nello specifico, che lavoro più con la testa. Ma chi usa la scopa, in una partita che dura 3 ore e magari ne fa 2 in un giorno, fa una fatica bestiale”.
Dalle parole dello skip azzurro, unico reduce dall’esperienza di Torino 2006, fanno quindi capire come questa disciplina debba essere trattata con la giusta considerazione.
Terminata l’avventura sudcoreana, il quintetto italiano volerà a Las Vegas per i mondiali in programma dal 31 marzo all’8 aprile. Pochi giorni prima di loro, la nazionale femminile (terza agli ultimi Europei ma non qualificata per PyeongChang) prenderà parte alla rassegna iridata in Canada, dal 17 al 25 marzo.
Due bei traguardi, indipendentemente dal risultato che i nostri connazionali porteranno a casa.
E dire che, nel lontano 2010, fu Cortina D’Ampezzo a fare da cornice ai mondiali.
Chissà se questa nuova ondata di interesse porterà effettivamente a qualche novità concreta. Il nostro scetticismo sarebbe lieto di essere smentito.
OLIMPIADI INVERNALI 2018: NEWS, RISULTATI E MEDAGLIERE AGGIORNATO
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