Fin dalle prime edizioni, i Giochi Paralimpici ci hanno sempre mostrato l’enorme forza di atleti che, nonostante le mille difficoltè affrontate a causa delle più disparate disabilità, hanno stretto i denti e lottato per mostrare a tutti che non bisogna mai arrendersi, arrivando fino a lanciare un vero e proprio guanto di sfida (non solo virtuale, si veda sotto alla voce Oscar Pistorius) ai colleghi “normodotati”.
In quest’ottica, la storia di Lina Franzese è quella che più si avvicina a definirsi “emblematica”.
Le Paralimpiadi di Toronto 1976
Siamo nel 1976 e a Toronto si stanno aprendo delle Paralimpiadi particolari sotto più punti di vista. Innanzitutto, diverse furono gli Stati che decisero di boicottarle. Il motivo, l’ammissione del Sud Africa. No, qui non c’entra il razzismo; anzi sì, ma non nel modo che si potrebbe pensare. Il 1976 fu l’anno in cui l’apartheid, di cui si stava macchiando lo Stato africano, venne riconosciuto come crimine internazionale, e perciò la presenza della nazione tristemente simbolo di quella barbarie fu ritenuto oltraggioso da più rappresentanti internazionali.
Ma le Paralimpiadi di Toronto 1976 passarono alla storia anche per motivi decisamente positivi e più inerenti allo sport: fu quello infatti l’anno in cui per la prima volta furono ammessi anche atleti amputati e quelli affetti da disabilità visive.
Nella prima categoria rientra anche la nostra Lina Franzese, priva di entrambe le braccia: il 1976 è un anno in cui la ricerca medica per le protesi non ha di certo raggiunto ancora i livelli odierni, e per un’atleta questo poneva limiti enormi.
Lina però non si arrende e si affida alla guida di Antonio Vernole, colui che qualche anno dopo sarebbe diventato il Presidente della Federazione Italiana Sport Disabili. Vernole si rivela fondamentale per gli allenamenti di Lina, impostandone ritmi e distanze di volta in volta.
Le fantastiche prestazioni di Lina
Arriviamo a Toronto e nelle sue categorie (1500 m F1 e 100 m F1), Lina è l’unica partecipante ad avere un’amputazione così debilitante: uno svantaggio enorme, visto la tipologia di gara cui partecipa. Con queste premesse, nessuno avrebbe mai scommesso su di lei. Eppure Lina non solo gareggia, ma vince in entrambe le medaglie d’oro (8’28”60 e 15”10 i tempi nelle due gare), che saranno poi anche le uniche del metallo più prezioso vinte dall’Italia in quell’edizione delle Paralimpiadi.
Un risultato straordinario, ripetuto quattro anni dopo, quando ai Giochi paralimpici di Arnhem 1980 conquisterà di nuovo due medaglie, stavolta d’argento, nelle due specialità di corsa. Risultati straordinari, che le hanno permesso di “essere giudicata in base alla capacità e non al numero di arti”.