Il “centro di gravità permanente”, reso famoso dall’omonima canzone di Franco Battiato, è uno stadio di coscienza, una centratura del proprio Essere che osserva il mondo esterno, il proprio apparato psico-fisico e la propria personalità, diventando osservatore, senza giudizio, di sé stesso e degli altri. Tale elevamento della coscienza permette, dunque, di raggiungere una condizione di liberazione dalla sofferenza, dovuta al riconoscimento della propria condizione psico-fisica e dei propri limiti in generale.
È il lontano 1984 e Oscar De Pellegrin lavora tranquillamente nell’azienda agricola di famiglia. Un giorno, tuttavia, succede qualcosa di imprevisto: c’è chi lo definirebbe “dramma”, “tragedia”, o “incidente”; lui lo chiama «appuntamento con il destino». Il trattore su cui siede Oscar, infatti, si ribalta, facendolo finire sotto il mezzo: subisce una lesione spinale. Trent’anni fa (e a raccontarlo, credo, sia il De Pellegrin-uomo, prima che atleta) la disabilità era cosa ben diversa rispetto a oggi: sei mesi di ospedale, in questo senso, sono solo una parte della riabilitazione – forse, addirittura, quella più facile. Ci si deve, infatti, riaffacciare al mondo del lavoro, a quello delle relazioni amicali e parentali, al quotidiano; insomma, si deve tornare a vivere, accettando la propria condizione. Oscar, grazie alla sua famiglia, a un amico, anch’egli in carrozzina, e al supporto dell’Inail scopre lo sport. È un’occasione, da un lato, per mettersi alla prova, dall’altro, per continuare la propria integrazione, per fare del proprio “appuntamento con il destino” un’opportunità. Pratica atletica, tiro a segno e tiro con l’arco, ma non solo: sperimenta e rimane affascinato dal mondo della competizione paralimpica.
Oscar De Pellegrin debutta nel tiro a segno ai World Games targati UK, 1990, conquistando un oro nella carabina 10metri, un argento nella 50m calibro .22 e un bronzo nella 10m a squadre. Un risultato incredibile, arrivato dopo pochissimi anni di preparazione, che gli danno coraggio e lo spronano a continuare, impregnandosi ancor di più.
L’anno successivo vince l’oro nella carabina 10m agli Europei di Bruges e l’anno dopo debutta ai Giochi paralimpici di Barcellona 1992, conquistando la medaglia di bronzo: fa centro, sempre nella carabina 10m.
La sua carriera da vincente è appena iniziata. Prima di tornare alle Paralimpiadi, infatti, conquista ben quattro argenti ai Campionati europei di Jarvenpaa (Finlandia) 1995 – carabina 10m individuale e a squadre, carabina 50m calibro .22 individuale e a squadre. Ai Giochi di Atlanta, poi, si ripete: bronzo, questa volta nella carabina 50m calibro .22. È l’ennesima sua vittoria, un conferma, un nuovo – se così vogliamo chiamarlo – “appuntamento col destino”.
Oscar De Pellegrin non è, però, un’atleta come gli altri. Non riesce ad accontentarsi, a contenersi. Una persona qualsiasi si accontenterebbe di un simil traguardo, ma non lui. Accanto al tiro a volo, nonostante le innegabili, enormi soddisfazioni raccolte, coltiva anche la passione per un’altro sport: il tiro con l’arco, ovvero l’unica disciplina in cui non c’è differenza tra atleti disabili e normodotati. È l’ennesimo modo per mettersi in discussione, per ricercare il proprio “centro di gravità permanente”.
Già negli anni in cui competeva nel tiro a volo, Oscar conquista due medaglie, nella Coppa delle regioni, un oro (1991) e un argento (1993), entrambe nella fita. Dopo Atlanta 1996, tuttavia, le cose cambiano e l’azzurro decide che nel suo futuro paralimpico vi sarà il tiro a segno. E così sarà. Dopo un oro a squadre e un bronzo individuale ai Campionati europei di tiro con l’arco, svoltisi a Foligno (e un argento e due bronzi, nel tiro a segno, ai Mondiali di Santander 1998), arriva l’appuntamento di Sydney 2000. De Pellegrin apre in nuovo millennio, la sua nuova carriera paralimpica da arciere con un oro di squadra e un bronzo individuale: due medaglie che sono storia.
Successivamente, inizia a dedicarsi esclusivamente al tiro con l’arco: conquista un argento a squadre all’Europeo di Spala 2002, un oro nella Coppa delle Regioni e un argento individuale ai Mondiali di Madrid 2003. Alla Paralimpiade di Atene 2004, tuttavia, De Pellegrin esce – per la prima volta nella sua carriera di atleta – senza alcuna medaglia: chiude quarto nella gara individuale, quinto in quella a squadre.
Nel post-Atene, nel tiro con l’arco, conquista un bronzo individuale e un argento di squadra al Gran prix europeo di Stroke Mandeville nel 2004. L’anno successivo, ai Mondiali di Marina di Massa, conquista l’oro e il record mondiale nella tipologia fita. Nel 2006 compete sia nel tiro con l’arco (argento fita e oro nella O. R. agli Europei di Innsbruck), ma anche nel tiro al volo (bronzo individuale e a squadre nella carabina 50m calibro .22 ai Mondiali di Sargans, Svizzera); così nel 2007 (un oro e un bronzo mondiali, ottenuti nella sudcoreana Cheongyu, nel tiro con l’arco; tre medaglie agli Europei di Shul, alla sua ultima competizione nel tiro a segno: un bronzo di squadra nella carabina 50m .22 e due argenti, nella carabina 10m di squadra).
Alle Paralimpiadi di Pechino 2008, tuttavia, si esibisce esclusivamente nel tiro con l’arco, riuscendo a ottenere un bronzo nella gara a squadre. E in seguito riesce, per ben tre volte, a migliorare il record mondiale nel tiro con l’arco: ai Gran Prix di Novi Mesto (Repubblica Ceca) 2010, dove innalza l’asticella sia nell’individuale che nella gara a squadre miste, e ai Campionati italiani di Alessandria del medesimo anno.
Intanto, l’anno precedente, entra ancor più nella storia: entra infatti a far parte del Guinness dei Primati, insieme a Marco Vitale e Alberto Simonelli, per aver centrato e rotto quante più lampadine, poste a 15m di distanza. Ma l’obbiettivo primario, con rispetto al “Libro dei record”, sono le Paralimpiadi di Londra 2012. Così, dopo due ori italiani O. R., è tempo di far tappa nell’olimpica capitale inglese. Oscar De Pellegrin conclude così la propria straordinaria carriera con la più grande soddisfazione possibile, l’oro olimpico nel tiro con l’arco: De Pellegrin ha fatto centro, è “l’appuntamento col destino” che aspettava da una vita, quello che lo consacra – sempre ce ne fosse ancora bisogno – tra i più grandi sportivi di sempre.