Tre ori prima delle Guerre e uno Stadio intitolato a proprio nome agli albori del “boom economico”. Queste le coordinate temporali delle gesta di Alberto Braglia, il ginnasta per antonomasia, quello passato alla storia dopo i trionfi di Londra 1908 e Stoccolma 1912.
Successi che il giornalista Roberto Condio de La Stampa ha ricostruito nel libro Cinque cerchi. Storia degli ori olimpici italiani (2016), una raccolta di ritratti dedicati ai 199 momenti di gloria vissuti dallo sport italiano alle Olimpiadi: in attesa del momento numero 200 che verosimilmente festeggeremo tra qualche giorno a Rio.
Ma il “fachiro modenese”, che il 15 luglio 1908 a Londra si concederà la sua prima affermazione olimpica nel concorso individuale, parte ad handicap: “È penultimo di sei figli di un muratore di Campogalliano, è balbuziente e a 12 anni gli tocca già andare a lavorare, da garzone del fornaio”. Braglia non nasce con la fortuna dalla sua, ma a recuperare ci mette poco: “sfoga la sua vivacità allenandosi con quel che trova nel fienile di casa. Si muove tanto e bene, finisce nelle leve delle società ginnastiche modenesi Fratellanza e Panaro […] Si allena duramente, inventando esercizi e costruendosi persino gli attrezzi da solo. Un fenomeno assoluto”.
Ai Giochi intermedi di Atene 1906, Braglia raccoglie due secondi posti e molti apprezzamenti. Altri due anni di fatica e poi l’esordio olimpico nella capitale dell’Impero britannico: “il concorso di ginnastica passa agli archivi come eptathlon perchè comprende sette prove svolte su cinque attrezzi: sbarra […] parallele, cavallo con maniglie, anelli […] e arrampicata sulla fune”. Grazie alla sua “presa digitale”, Braglia si impone nel volteggio al cavallo, fa scorpacciata di elogi e si gode la popolarità: “Lo portano in passerella a Modena e […] lo riceve Vittorio Emanuele III […] Ha 25 anni e mille porte aperte. Sceglie di approfittare di quella che gli può garantire più soldi […] diventa artista da circo. Fa l’equilibrista, poi la torpedine umana. Il numero, però, è rischioso: deve scendere dal loggione al palcoscenico su un carrello lanciato a gran velocità, aggrapparsi a un trapezio per poi finire di stupire il pubblico con i suoi virtuosismi”. Il 23 aprile 1910, durante un’esibizione teatrale, il nostro funambolo cade male e ci rimette la spalla e qualche costola.
Nel 1912 Braglia è ancora un riferimento assoluto nella ginnastica, nonostante sia prossimo alla trentina e abbia passato momenti molto difficili: dalla squalifica per professionismo (poi annullata) alla morte della figlia di appena 4 anni. A Stoccolma Alberto è l’alfiere italiano: “Porta la bandiera nell’inaugurazione del 6 luglio e poi è il leader indiscusso nel concorso a squadre che vale l’oro”. Ma il meglio lo dà nella prova del giorno dopo, nella gara individuale, il 12 luglio 1912: “Senza i tedeschi e con svedesi e norvegesi che si ostinano a interpretare la ginnastica solo come una disciplina di gruppo, la competizione si trasforma in un derby italo-francese, con monopolio delle prime undici posizioni”. Roberto Condio ricostruisce minuziosamente quella giornata storica: “Si gareggia in due sessioni, dalle 9.30 alle 12.30 e poi dalle 14 alle 17: quattro attrezzi con tre giudici ciascuno che esprimono valutazioni da 0 a 12. Il punteggio totale massimo, dunque, è 144. Braglia arriva a 135, sfiorando la perfezione nel cavallo, dove merita 35,75 alla pari dell’altro modenese Mazzarocchi, medaglia di bronzo”. Ma Braglia godeva di un vantaggio considerevole, già dal debutto alla sbarra: “primo con 32,75. Aveva poi limitato i danni alle parallele […] ed era stato il numero 2 agli anelli […] Il cavallo, sul quale eseguiva volteggi da ovazione, lo aveva infine consacrato campione fuori portata”.
Prima di ripartire da Stoccolma, nella premiazione del 15 luglio Braglia riceve dal re di Svezia “una statua di bronzo massiccio raffigurante un vigoroso lanciatore della pietra”. E durante il viaggio di ritorno, a bordo di un vagone di terza classe, “fa tappa a Praga, per ritirare un pesante ma soprattutto ricco trofeo offerto dalla città. Senza più soldi in tasca, si ferma a Monaco con due compagni e chiama un amico a Spilamberto per farsi portare a casa”.
Due ori dopo, Alberto ritenta la via dello spettacolo, questa volta con successo: in coppia col nano Ettore Valente, Braglia interpreta Fortunello e Cirillino, personaggi popolari de Il Corriere dei Piccoli. Poi il nostro ginnasta emigra in America, dove diventa ricchissimo e da dove ritorna poverissimo dopo una serie di investimenti immobiliari sbagliati.
Nel 1932 alle Olimpiadi di Los Angeles è l’allenatore della squadra italiana di ginnastica che vince a sorpresa l’oro: forte di questo successo, Braglia viene nominato “cavaliere ufficiale per meriti sportivi”. Dopo la Seconda Guerra Mondiale e la spedizione poco fortunosa ai Giochi di Londra 1948, Alberto è colpito arteriosclerosi e viene ricoverato in un ospizio. Muore nel 1954, povero e menomato. Due anni dopo, lo stadio di Modena, la sua città, viene ridenominato “l’Alberto Braglia”. “Omaggio doveroso” a detta di Roberto Condio. Omaggio doveroso a detta di tutti.