Basket, playoff NBA 2020. Una decisione storica: i giocatori non scendono in campo per protesta dopo il caso Jacob Blake. Nelle prossime ore una riunione per capire se i playoff proseguiranno o meno.
Basket playoff NBA 2020: clamorosa scelta dei giocatori nella notte italiana, boicottate le partite dopo il caso Jacob Blake
Sembrava potesse accadere alle 22:00 di questa notte, in occasione di gara-uno di una delle semifinali playoff della Eastern Conference, tra Boston Celtics e i campioni in carica della NBA, i Toronto Raptors. Ma, nella notte italiana appena trascorsa, i Milwaukee Bucks hanno anticipato tutti sul tempo, decidendo di non scendere in campo, per manifestare contro le recenti vicende di Kenosha, Wisconsin.
Nei giorni scorsi, infatti, il ventinovenne afroamericano Jacob Blake è stato raggiunto alla schiena da sette colpi di pistola, esplosi da un agente delle forze dell’ordine. L’ennesimo tragico avvenimento che ha coinvolto un afroamericano e la polizia statunitense; un nuovo episodio, dopo quello di George Floyd, che innescò il movimento Black Lives Matter, che ha ulteriormente shoccato gli Stati Uniti.
La decisione dei giocatori della franchigia del Wisconsin, a stretti termini di regolamento, avrebbe dovuto portare alla vittoria a tavolino degli Orlando Magic, ma questi ultimi hanno rifiutato il verdetto. E così, dopo quelli di Bucks e Magic, non sono scesi in campo neanche i giocatori di Oklahoma City Thunder e Houston Rockets, di Los Angeles Lakers e Portland Trail Blazers.
Non si è giocata nessuna delle tre partite in programma nella notte italiana. La NBA definisce le partite “posposte”, supportando di fatto il boicottaggio promosso dai giocatori.
George Hill: “Cosa giochiamo a fare?”. E oltre a NBA e WBNA si fermano anche MLB, MLS e tennis
“Cosa possiamo fare? Non possiamo fare nulla. E anzi, mi chiedo cosa siamo venuti qui a fare, a essere onesti. Entrare nella “bolla” non ha fatto che distogliere l’attenzione da quelli che sono i veri temi su cui dovremo confrontarci”.
Aveva usato queste parole, nei giorni scorsi, George Hill, giocatore dei Bucks. Riaccendendo un dibattito che già nei mesi precedenti, a seguito della morte di George Floyd, aveva attraversato la lega. “Il basket”, aveva detto il centro dei Lakers Dwight Howard, più di due mesi fa, dando voce alle numerose voci critiche tra i giocatori rispetto all’opportunità di tornare in campo, “non è una necessità in questo momento. E costituirebbe solo una fonte di distrazione”.
Dalle parole, nella notte italiana, si è dunque passati ai fatti. A quello che è forse il più clamoroso atto politico di una lega di sport professionistico.
Cui, per altro, si è accodata anche la WNBA, la lega femminile di pallacanestro. Ma anche la Major League Baseball, con Brewers e Reds, Mariners e Padres, Dodgers e Giants a incrociare le braccia; la Major League Soccer, con l’annullamento delle partite in programma nella notte: Inter Miami-Atlanta, FC Dallas-Colorado, Real Salt Lake-LAFC, San Jose-Portland e LA Galaxy-Seattle; e i circuiti tennistici ATP e WTA, dopo la decisione di Naomi Osaka di non scendere in campo nella semifinale del torneo WTA di Cincinnati.
NBA: e ora cosa succederà?
Se la NBA, le franchigie e i giocatori hanno sposato appieno la scelta di boicottare le partite, quanto meno quelle della scorsa notte e, probabilmente, di quella ventura, meno chiaro è quello che succederà.
Le due squadre di Los Angeles, Clippers e Lakers, sarebbero infatti propense a una totale sospensione dei playoff. Non, però, le altre squadre, che vorrebbero ugualmente proseguire la stagione. Tra queste, anche i Milwaukee Bucks, la cui iniziativa è stata sì condivisa nel merito, ma non nel metodo, poiché gli atleti della franchigia del Wisconsin hanno preso la decisione di non giocare senza consultare, in primis, i propri avversari, gli Orlando Magic.
I primi incontri tra i giocatori non hanno portato ad alcuna decisione finale. Nel pomeriggio, alle 17:00 italiane, è atteso un nuovo meeting tra i cestiti della NBA, in concomitanza con una call tra il Commisioner Adam Silver e i proprietari delle franchigie. La situazione, dunque, è alquanto in divenire.
Quello che è chiaro, però, è la risposta del mondo cestistico, e non, a stelle e strisce alla domanda posta sulla schiena di Damian Lillard, uno dei tanti messaggi apparsi sulle maglie dei giocatori NBA a sostegno della causa del movimento Black Lives Matter: “How many more?”. “Quanti altri casi, simili a quelli di George Floyd, dovranno accadere?”. La risposta della NBA, e di tutto il mondo sportivo americano, è molto chiara.
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