Anche il Tour de France 2017 va in archivio. Proviamo a tracciare un bilancio di questa prima parte di stagione, con particolare riferimento ai Grandi Giri ed ai nostri portacolori.
I GIRI DELL’INCERTEZZA: COMPETIZIONE ESALTANTE O TATTICISMO ESASPERANTE?
Fino alla fine. Già, mai come quest’anno Giro d’Italia e Tour de France sono stati così tirati ed in bilico. Entrambi i Grandi Giri sono stati contraddistinti da distacchi risicati tra i protagonisti. Basti pensare che, nella corsa rosa, ben sei corridori si sono presentati alla crono decisiva con la possibilità di conquistare il primato, mentre nella Grande Boucle, ad una settimana dalla conclusione, erano addirittura quattro i ciclisti racchiusi in 29”! Sicuramente, si tratta di un numero di pretendenti per la vittoria finale insolitamente alto. Risulta ancora più particolare che l’assegnazione del successo sia arrivata solamente all’ultimo atto, a testimonianza di una grande incertezza. Fin qui sembrerebbe definirsi un quadro generale estremamente spettacolare, fatto di competizioni dall’esito mai scontato. Il tutto su percorsi aspramente criticati alla vigilia perché poco selettivi e mal disegnati. Un segnale positivo? Sicuramente il pubblico ha apprezzato la lotta serrata anche nei quartieri alti. Tuttavia, non mancano nemmeno gli aspetti meno piacevoli su cui occorrerebbe riflettere. Sia il Giro che il Tour sono stati l’emblema della marcatura, del surplace esasperante, del tatticismo totale. Poche le azioni figlie dell’istinto e del coraggio di osare. Molte di più le iniziative dettate da un’impostazione di gara ben chiara e lineare. A voler ben vedere, sono state principalmente le cronometro a lasciare il segno nelle due grandi corse a tappe. I 70 km di lotta contro il tempo hanno consegnato la vittoria ad un passista come Tom Dumoulin al Giro, mentre Chris Froome ha creato il solco sui diretti concorrenti grazie alle due prove contre la montre della Grande Boucle. E in salita? Pochi, pochissimi scatti e spesso telefonati o scontati. Meglio ricorrere al ritmo feroce imposto dai fidi scudieri per sfiancare gli avversari. Dunque corse spettacolari in termini di classifica sì, ma poco divertenti nello svolgimento.
PERCORSI INEDITI: LA NUOVA LINEA CONVINCE?
I percorsi delle edizioni 2017 di Giro d’Italia e Tour de France erano finite presto nel mirino delle critiche. Per molti, sono stati eccessivi i chilometri a cronometro nella corsa rosa, roba da ricordare gli anni del dominio di Miguel Indurain, guarda caso un corridore con le caratteristiche tecniche di Dumoulin. Ed in entrambe le competizioni gli arrivi in salita sono stati miseri (4 al Giro e 3 al Tour de France). Come permettere agli scalatori di pareggiare il bilancio con i potenti cronoman? Sicuramente è andata meglio ai discesisti puri, visti i tanti traguardi posti al termine di ripidi pendii. Discutibile anche la decisione di porre tante salite dure e complicate lontane dalla fine della tappa. Se la scelta era volta a scatenare la fantasia degli attaccanti, ha, invece, sostanzialmente generato una marcatura ferrea tra i big. Probabilmente, bisognerebbe riflettere su altri aspetti: al Tour de France, una delle frazioni più divertenti era quella che contava solamente 100 km. Perché non intraprendere questa via, fatta di tappe più corte ed imprevedibili, anziché disporre anche 5 colli nella parte iniziale, per poi scivolare lentamente nel tatticismo più esasperante?
IL TRIONFO DEI PASSISTI, BATOSTE PER GLI SCALATORI
Normale che i vincitori dei primi due Grandi Giri siano ciclisti dotati di una notevole resistenza a cronometro e di una buona difesa nelle salite. Per gli scalatori, la corsa rosa e la Grande Boucle non sono stati affatto semplici: Nairo Quintana ha indossato le amare vesti del Fignon di turno, beffato in extremis al Giro, mentre Fabio Aru ha sofferto di bronchite nella seconda parte del Tour. Sicuramente, se i percorsi delle prossime gare a tappe dovessero seguire l’impronta delle edizioni del 2017, si assisterà quantomeno ad un cambiamento tattico degli amanti delle asperità, con particolare riferimento ai grimpeur (scalatori dalla costituzione fisica assai minuta), estremamente svantaggiati in una prova contro il tempo. Dunque, selezione nella selezione: ogni ciclista potrebbe cercare di focalizzare e mettere nel mirino non più di 5 tappe per far svoltare la gara a proprio favore.
SPROFONDO AZZURRO: RESTANO NIBALI E ARU
Amaro il bilancio degli italiani. Solamente due successi di tappa, ottenuti, per di più, grazie agli atleti di spicco del nostro movimento, ossia Vincenzo Nibali e Fabio Aru. Un solo ciclista capace di salire sul podio (sempre lo Squalo dello Stretto, terzo dietro a Dumoulin e Quintana. Deludenti le prestazioni di Sacha Modolo, Sonny Colbrelli e Giacomo Nizzolo, tutti rimasti a secco. Numeri che certamente non sono confortanti, anche se qualcosa si muove tra i giovani. Jakub Mareczko potrebbe rinverdire i fasti degli sprinter italiani, mentre il cavaliere dei quattro mori ha ancora margini di crescita importanti. Il futuro, dunque, non sembra così grigio.