Federico Euro Roman, triestino classe 1952, è portatore, da più di quarant’anni a questa parte, di una delle più belle storie sportive dell’Italia olimpica. Il suo nome si associa a Mosca 1980, all’Olimpiade del boicottaggio statunitense per l’invasione sovietica dell’Afghanistan. L’Italia, insieme ad altre nazioni, decise di far sfilare i propri atleti sotto il vessillo del CIO anziché con il tricolore. Ma questa non fu l’unica nota dolente per gli azzurri e, in particolare, per la spedizione equestre.
Alla squadra italiana, infatti, non venne fornito nessun supporto logistico, venendo addirittura privata del proprio tecnico, Lucio Manzin, maestro per molte generazioni di amazzoni e cavalieri azzurri. Non restò quindi che partire autonomamente alla volta di Mosca. Ma sull’aereo direzione URSS non viaggiò un’ armata Brancaleone, bensì un gruppo squadra affiatato, compatto e consapevole delle proprie capacità. La mente dietro l’organizzazione di una così difficile impresa era quella di Federico Roman che decise di avvalersi per le gare dell’esperienza di suo fratello Mauro su Dourakine 4, di Anna Casagrande su Daleye e di Marina Sciocchetti su Rohan de Lechereo.
Ben tre dei quattro componenti della squadra si erano formati al centro ippico “Le Querce” di Casorate Sempione, centro peraltro gestito dal padre dei fratelli Roman, già sottufficiale delle Forze Armate.
Il 25 luglio 1980, primo giorno del concorso individuale, Federico Roman su Rossinan si classificò al settimo posto in classifica con 54,40 di penalità; i sovietici sembravano già inarrivabili. Il giorno dopo, però, nella prova di cross country, Rossinan si superò, riuscendo con un 49,20 di penalità ad issarsi sul gradino più alto del podio di specialità, valevole per il secondo posto assoluto nella generale, con un complessivo 103,60. Il giorno della verità fu il terzo, quando ad attendere il binomio azzurro ci fu la decisiva gara di salto ad ostacoli. Roman arrivò alla giornata conclusiva forte di un cospicuo vantaggio sui rivali. Poteva addirittura commettere tre errori sui dodici ostacoli del percorso. Ma il binomio azzurro non tremò davanti alla vertigine della competizione e, con un solo errore nel terzo elemento della doppia gabbia, si laureò campione olimpico, a sedici anni di distanza da Mauro Checcoli, campione a Tokyo 1964. I sovietici, da tutti indicati come favoriti, dovettero inchinarsi alla grazia del duo azzurro, anche più forte del terreno molto fangoso del campo gara e dei continui tatticismi dei padroni di casa. Il sovietico Blinov su Gazlun terminò secondo con una penalità di 120,80 mentre il connazionale Salnikov su Pintset conquistò il bronzo con una penalità totale di 151,60.
E, proprio come Checcoli, anche Federico Roman diede spettacolo insieme alla squadra attorno a lui costruita. Infatti, grazie all’alto livello delle prestazioni di suo fratello Mauro e delle amazzoni Casagrande e Sciocchetti, l’Italia si aggiudicò anche uno splendido argento a squadre, in quello che ancora oggi, a distanza di quarantadue anni, sembra il canto “olimpico” del cigno.