Ricordiamo la XX^ edizione dei Giochi Olimpici che segnò in maniera indelebile lo sport e non solo

Foto da : Wikipedia

Il 26 agosto 1972, con il giuramento olimpico pronunciato dall’ostacolista Heidi Schuller, si aprì la XX^ edizione dei Giochi Olimpici Estivi. Tutto faceva presagire ad una grande kermesse, veramente moderna, sentita in tutto il mondo e finalmente in grado di dimostrare agli occhi del grande pubblico una Germania nuova, diversa e scevra dai ricordi del passato, quel passato che tanto dolore ancora suscitava negli animi della gente. Non fu così. Il motto ufficiale recitava entusiasticamente “ the Happy Games” perché questo doveva caratterizzare l’edizione numero venti dei Giochi. Alla fine delle gare il comun sentire non sarebbe potuto essere tanto lontano da quello slogan.

La palazzina 31 del villaggio olimpico dove risiedevano gli atleti israeliani (fonte: Wikipedia)

Il dramma e il terrore calarono sul villaggio olimpico nelle prime ore della notte del 5 settembre 1972 quando otto terroristi palestinesi, appartenenti all’organizzazione criminale “Settembre Nero”, fecero irruzione nella palazzina numero 31 che ospitava gli atleti e gli allenatori della delegazione maschile di Israele. Nel corso del blitz due di essi furono immediatamente uccisi e altri nove vennero prontamente sequestrati dai terroristi. Lo scopo dell’efferata azione era chiedere ed ottenere la liberazione di 234 criminali palestinesi detenuti in Israele e, in senso più ampio, dimostrare in maniera cruenta quanto il conflitto israelo-palestinese, all’epoca già in atto, potesse irrompere bruscamente su una manifestazione così importante e così unificante, oltraggiandola nel profondo. Purtroppo la cattiva gestione da parte della polizia tedesca peggiorò le cose, facendole precipitare il giorno seguente con la morte di tutti gli israeliani sequestrati a seguito di una sortita mal orchestrata dalle forze di sicurezza teutoniche. Sull’Olimpiade calò la notte. Da quel momento quell’edizione si divideva in due: in un ante e in un post 5 settembre. Anche il nostro racconto può seguire questa dicotomia.

Il re e la sirenetta: Mark Spitz e Novella Calligaris

L’Olimpiade del ’72 consegnò al Pantheon degli sportivi l’allora ventiduenne Mark Spitz, primo atleta olimpico capace di vincere ben sette medaglie in altrettante gare e stabilendo altrettanti record del mondo, tutti nel nuoto. Egli conquistò le medaglie più preziose nei 100 m e 200 m stile libero, nei 100 m e 200 m farfalla, nelle staffette 4×100 e 4×200 stile libero e nella staffetta mista 4×100. Si potrà godere questi successi in serenità per pochi giorni, infatti, appena terminato il programma di nuoto ci sarà l’attentato e la polizia, per preservarne l’incolumità, lo costringerà al rimpatrio forzato. Oltre a Spitz come non citare le imprese della giovanissima nuotatrice padovana Novella Calligaris, non ancora maggiorenne, ma capace di conquistare ben tre medaglie, rispettivamente: l’argento nei 400 m stile libero e due bronzi nei 400 m misti e negli 800 m stile libero. Si trattò delle prime medaglie olimpiche per il nuoto italiano per di più impreziosite da altrettanti record europei.

Mark Spitz con le 7 medaglie d’oro conquistate a Monaco 1972 (fonte: profilo Facebook ufficiale Mark Spitz)

Sempre nel nuoto, ma questa volta dai tuffi, arrivarono altre medaglie tricolori, in particolare con l’affermazione di Klaus Dibiasi nella piattaforma, seguito dal bronzo di Giorgio Cagnotto. Quest’ultimo farà il bis con l’argento nel trampolino 3 m. Le altre affermazioni italiane si registreranno nel fioretto individuale femminile, monopolizzato da Antonella Ragno-Lonzi, e nella sciabola a squadre con Michele Maffei, Mario Aldo Montano, Mario Tullio Montano, Rolando Rigoli e Cesare Salvadori.

Il cuore oltre l’ostacolo

La rassegna olimpica del 1972 mostrò ancora una volta la competenza e la maestria italiane nel saper allevare e addestrare cavalli per kermesse di primo livello. A Monaco Graziano Mancinelli, su Ambassador, salì sul gradino più alto del podio nel concorso individuale ad ostacoli, per poi conquistare nel concorso ad ostacoli a squadre la medaglia di bronzo con l’aiuto di Vittorio Orlandi, su Fulmer feather, e soprattutto degli indimenticabili fratelli D’Inzeo, rispettivamente su Fiorello e Easter light. Per i fratelli invincibili si trattò dell’ultima medaglia olimpica delle loro carriere, iniziate nel lontano 1948. Questa longevità sportiva permise loro di diventare i primi, e finora unici, atleti italiani a partecipare a ben otto edizioni consecutive dei Giochi con la stessa divisa. L’ultima medaglia per l’equitazione fu conquistata da Alessandro Argenton, secondo nel concorso completo individuale composto da tre prove, ovvero dressage, salto ostacoli e cross country.

Graziano Mancinelli e Raimondo D’Inzeo, secondo e terzo da sinistra, alla Coppa delle Nazioni di Aachen 1964 (fonte: profilo Facebook “Fratelli d’Inzeo-il libro”)

Per l’Italia l’ultima medaglia prima del tragico evento fu ottenuto dalla “Freccia del Sud” Pietro Mennea che, con il tempo di 20’’30, conquistò il bronzo nei 200 m piani alla sua prima partecipazione olimpica.

L’Olimpiade delle stranezze

Questa edizione si caratterizzò anche per le tante bizzarrie durante le gare. Nell’atletica lo statunitense Eddie Hart rimase nel villaggio olimpico insieme ai suoi compagni di sprint Robert Taylor e Reynard Robinson convinto di dover disputare la batteria dei quarti di finale dei 100 m più tardi. Verrà squalificato dalla gara anche se si consolerà con l’oro nella 4×100. Sempre nell’atletica, nella gara degli 800 m si verificò l’incredibile rimonta di Dave Wottle che nel rettilineo finale passò dall’ultima posizione alla prima. L’episodio più curioso si verificò nel pugilato nel quale il cubano Teofilo Stevenson stradominò strapazzando tutti gli avversari che via via si presentavano lungo il suo cammino verso l’oro. Il giorno della finale non dovette nemmeno incrociare i guantoni con lo sfidante, il rumeno Ion Alexe, che rinunciò alla finale, a suo dire per paura dell’avversario, accontentandosi dell’argento.

Negli sport di squadra si sprecarono le polemiche per il risultato della finale maschile del torneo di basket che vide l’URSS prevalere sugli Usa per 51-50 dopo che l’arbitro decise unilateralmente di far rigiocare gli ultimi tre secondi di gara. Ancora oggi gli statunitensi definiscono quella partita “la più controversia nella storia del basket internazionale”, non foss’altro che , con quel risultato, terminò la striscia di 63 vittorie consecutive alle Olimpiadi, cominciata a Berlino nel 1936.

Verso la chiusura dei Giochi

Il massacro stravolse l’Olimpiade, tutti erano sotto schock e non si sapeva che cosa fare. Sull’onda del momento si decise per una sospensione, che effettivamente si concretizzò per 34 ore. Non era mai successo. Il momento era, purtroppo, negativamente memorabile. Né le Olimpiadi antiche né quelle moderne erano mai state interrotte durante il loro svolgimento, anzi, erano proprie esse, nell’antichità, a fermare le contese e a sancire la tregua tra i contendenti. Ora era l’inverso, lo sport passò in secondo piano anche quando si decise di proseguire dopo una breve commemorazione degli atleti morti il giorno prima. A distanza di anni permane ancora una faglia a dividere le due fazioni, quella di chi avrebbe scritto la parola “fine” anticipatamente e quella di chi avrebbe preso la decisione del Comitato Olimpico Internazionale di proseguire.

La fiamma olimpica simbolo dei Giochi (fonte: profilo Facebook ufficiale Olympic)

Alla fine venne ribadito un principio fondante dello spirito olimpico: la fiamma, emblema dell’ardore sportivo che alberga in ogni olimpionico, non poteva essere spenta, nemmeno da un fatto tanto grave. Lo sport doveva ribadire i suoi valori di unione, competizione e meritocrazia e per farlo doveva dimostrare la sua forza anche nel momento più difficile. Ne andava, e ne va tuttora, della missione epifanica dei Cinque Cerchi.

Citius! Altius! Fortius!

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