È scattata la 33esima edizione dei Miami Masters. Gli italiani non sono mai andati oltre i quarti di finale. Riviviamo insieme le imprese degli azzurri “più vincenti” in Florida.
I Miami Masters: come tutto ebbe inizio
Che gli americani si trovassero bene a Parigi nei primi anni Cinquanta è un dato cinematograficamente condiviso. Almeno a detta del regista italo-americano Vincente Minnelli: il suo musical, uscito nel ’51, comprovava infatti il benessere di cui godevano “i figli del Paese a stelle e strisce” nel Vecchio continente, uscito con le ossa rotte dal secondo conflitto mondiale. Gli americani avevano tanti dollari, gli europei soprattutto lo sport, unica arma attraverso la quale provare a competere con lo strapotere dei primi. Nel 1985, ancora “caldi” della propria potenza economica nonostante la Guerra Fredda avesse riservato pochi alti e molti bassi, gli Stati Uniti d’America fondarono un torneo con la minuscola pretesa di farne “il Wimbledon d’inverno”, noto ai più come i Lipton International Players Championships. Ed è qui che entrarono in gioco i nostri tennisti. Che dire Degli italiani a Miami in questi trentatré anni di competizioni? Bene, ma non benissimo? Male, ma non malissimo?
Gli azzurri a Miami: a Canè l’interregno, Caratti e Nargiso stabilirono il record
Un bolognese in Florida è il lunghissimo metraggio girato in tre anni, tra il febbraio ’87 e l’aprile ’89, che vide come attore protagonista il felsineo Paolo Canè. Forte dei tre terzi consecutivi conquistati a Miami in quegli anni, spetta a lui infatti l’interregno tennistico azzurro più duraturo in Florida. Un risultato aperto, inframmezzato e chiuso da un trittico di successi mondiali: nell’‘84 Canè conquistò infatti la medaglia di bronzo ai Giochi di Los Angeles (ma allora il tennis olimpico era solo uno sport dimostrativo), nell’‘88 si fermò ai quarti di finale ai Giochi di Seul, nell’agosto ’89 divenne logicamente il 26° tennista al mondo (conquistando il suo best ranking). Meglio di Canè in Florida fecero solo Cristiano Caratti e Diego Nargiso, fermatisi ai quarti di finale rispettivamente nel ’91 e nel ’92. Per rispondere alla domanda iniziale, agli italiani a Miami non ha buttato mai benissimo, molto bene una trentina di anni fa e recentemente dire malino è un eufemismo.
Le azzurre in Florida: in principio fu la Reggi, nel 2013 gloria per Errani e Vinci
Chi altro se non lei? Raffaella Reggi da Faenza esordì a Miami nell’85, (uscendo al primo turno come Sandra Cecchini, altra bolognese di questa storia), nell’87 non ottenne risultati migliori e nell’88 si fermò al quarto turno (raggiungendo nell’aprile di quell’anno il 13° posto nella classifica mondiale, suo best ranking). RAFFAELLA divenne REGGIna di Florida nell’89: fu infatti la prima azzurra a conquistare i quarti di finale nel “Wimbledon d’inverno”. Il successo della faentina fu bissato una decina di anni dopo dalla milanese Silvia Farina, più precisamente nel ’98, quando quest’ultima fu costretta a inchinarsi di fronte a Venus Williams, poi vincitrice del torneo. Il resto è storia recente: anche l’attuale capitano di FED Cup Tathiana Garbin raggiunse i quarti, ma non riuscì ad andare oltre. Correva l’anno 2007. Sei anni dopo Sara Errani e Roberta Vinci riscrissero quella storia in grande stile: raggiunsero infatti entrambe i quarti, ma furono eliminate rispettivamente da Maria Sharapova e da Jelena Jankovic. Una delusione dalla quale il tennis azzurro, 2000 km a nord di Miami, si sarebbe però riscattato appena tre anni dopo: New York, cemento, US Open, semifinali, Flavia Pennetta elimina Simona Halep, Roberta Vinci fa fuori Serena Williams. Finale tutta italiana. Che dire delle italiane a Miami? Bene. E delle azzurre in America? Benissimo.
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