A trentuno anni Fabio Fognini è il miglior tennista italiano, ma non ha mai vinto un torneo Masters 1000. Può migliorare ancora? Noi speriamo di sì.
È genio e sregolatezza. Osservazione banale, in fondo. Eppure, come lo potresti descrivere in altro modo? Fabio Fognini, trentuno anni oggi, è una delle incompiute dello sport italiano più dolorose da accettare. Che poi, anche qui, andrebbe ridefinito il concetto di incompiutezza. Ecco allora il compito di questa lettera.
FABIO FOGNINI: LOB COME CONIGLI E RACCHETTE SCAGLIATE
“Ragazzi, oggi a Roma c’è Fognini-Nadal“. Oppure: “Gente, alle quattro Fogna sfida Murray a Wimbledon”. Lo dici per ricordare che oggi potrebbe succedere qualcosa di esaltante, in fondo sperato, probabilmente unico. Sì perché Fabio è senza dubbio un portatore di sostanza onirica, tanto di sogni quanto di incubi. Può sia mandare al tappeto i migliori che uscire con le ossa rotte da un incontro che lo vedeva nettamente favorito. Il motivo è un arcano che tutti gli allenatori della sua carriera hanno tentato di sciogliere. Sulla varietà dei colpi pochi al mondo possono tenergli testa: dritto ficcante, rovescio al millimetro, volée che non lascia speranze e poi quel sottile piacere della smorzata, giocata quando l’avversario si aspetterebbe la bordata da fondo campo. E la meraviglia del lob, sbucato fuori come un coniglio dal cilindro. Poi però c’è anche tutto il resto, conseguenza del suo tennis ad alto, altissimo rischio: se scappa qualche errore e la condizione cala lentamente, ecco i primi problemi. Fabio inizia a innervosirsi, il suo carattere mette la prima: segue l’escalation, iniziano le schermaglie, Fabio che litiga col giudice di sedia per avergli chiamato fuori una palla che magari fuori non lo è per davvero. E in quel momento non è sbagliato il fine, ma il mezzo. Fognini afferra la racchetta, la scaglia, odia improvvisamente quello che ama e la sconfitta arriva come un armistizio necessario prima della prossima battaglia. Finora questo è stato il suo copione e al momento nemmeno la novità della paternità, che festeggia un annetto, ha portato con sé il vento sferzante del suo cambiamento. E allora perché questa lettera nel giorno del suo compleanno? La risposta è banale: sogniamo che gli manchi ancora qualcosa che finora gli è sfuggito. Perché in fondo non è detto che lo strappo vincente o l’accelerazione decisiva non possano arrivare. Perché Fabio ha un talento troppo grande per farci restare razionali. Non smetteremo mai di sperare che questo, il prossimo anno o il prossimo ancora non possa essere quello buono per vederlo ancora più in alto. Per vederlo sorridere mentre solleva un grande trofeo, sentendosi dire, finalmente, che non gli è mancato nulla. Per vederlo provare finalmente, per la prima volta, quella sensazione di compiutezza che finora gli è sempre sfuggita.
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