Due occhi ridenti, accompagnati da un sorriso troppo bello per essere dimenticato e dai riccioli neri sormontati dagli occhiali azzurri e rosa, fissavano il cielo limpido di Barcellona 1992. La gara olimpica di ciclismo su strada si era conclusa da poco e Fabio Casartelli si era appena consacrato campione. Nato a Como il 16 agosto 1970, si era avvicinato al mondo delle due ruote grazie alla passione di papà Sergio, corridore dilettante. Ma Fabio aveva stoffa, ci sapeva fare con la bici e la sua trafila nelle giovanili lo aveva confermato. Era un ottimo passista, veloce in volata e resistente su strappi non eccessivamente impegnativi. Salì alla ribalta a Barcellona 1992, il suo anno migliore in termini di risultati.
Il tracciato catalano non presentava grandi asperità ma richiedeva grande attenzione e concentrazione. Bisognava saper cogliere l’attimo. All’epoca erano ammessi solamente i dilettanti alla gara e l’Italia schierò una formazione di tutto rispetto per la prova in linea: Davide Rebellin, Mirco Gualdi e, appunto, Fabio Casartelli. Come prevedibile, la corsa si sviluppò con diversi colpi di scena e con tanti tentativi di evasione dal plotone principale. Gli azzurri corsero bene, diretti sapientemente dal Commissario Tecnico Giosuè Zenoni.
Casartelli riuscì ad infilarsi in una fuga con l’olandese Erik Dekker e con il lettone Dainis Ozols, mentre da dietro Rebellin e Gualdi, nonostante fossero più quotati del compagno di squadra, facevano da stopper, inserendosi nei gruppi che si formavano all’inseguimento del trio di testa, senza tirare e limitandosi a marcare i favoriti. Tutta l’Italia, ancora sotto shock per le stragi mafiose di Capaci e di Via d’Amelio, in cui avevano perso la vita i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, si fermò ad osservare l’inevitabile sprint a tre, fremente e nervosa. Queste le parole della telecronaca appassionata del grande Adriano De Zan nel momento decisivo della gara: “Ozols lancia lo sprint con Dekker in seconda posizione e Casartelli in terza. Siamo alle fasi conclusive. Casartelli ora è in seconda posizione. Siamo a trecento metri e nessuno dei tre per ora lancia lo sprint perché tutti e tre sanno di essere estremamente veloci. Ecco ora che parte Casartelli, è partito Casartelli! È Casartelli in testa! Casartelli è medaglia d’oro! Medaglia d’argento per l’olandese, bronzo per il lettone”.
Tutta l’Italia si stringeva attorno a questo ragazzo di 22 anni, con la divisa azzurra ed il dorsale numero 106, che dopo aver vinto la corsa più importante della sua giovane carriera diceva: “Non sono molti i corridori italiani ad aver vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi nella corsa su strada. Io, adesso, entro in questo club di eletti. È una sensazione bellissima. Ho subito ripensato alla lunga trafila per arrivare a questo traguardo. E alla gioia che avevo regalato al mio paesino”.
Casartelli aveva scritto la storia, vincendo l’oro olimpico in una disciplina in cui gli italiani non salivano sul gradino più alto dal 1968. Il suo successo netto ed autorevole sui due avversari non lascia dubbi: ha vinto il più forte. In quel momento molti credevano che l’Olimpiade avrebbe aperto le porte di un futuro luminoso per il ragazzo comasco. Purtroppo non sarebbe stato così: passato professionista l’anno successivo, Fabio trovò qualche difficoltà di adattamento alla sua nuova realtà fino al 1995. Fino a quel maledetto 18 luglio. Si correva la quindicesima tappa del Tour de France, la Saint Girons-Cauterets. Doveva essere una frazione con qualche saliscendi ma non particolarmente movimentata. Invece nella discesa del Colle di Portet-d’Aspet le telecamere indugiarono su un corpo accovacciato a terra, inerme. Un lungo rivolo di sangue scendeva dalla testa e colorava sinistramente l’asfalto francese. Fabio era il ciclista a terra. Rimasto coinvolto in una caduta di gruppo, aveva colpito con il capo un paracarro a bordo strada. Sfortunatamente all’epoca il caschetto non era considerato obbligatorio e non fu introdotto fino al 2004. Probabilmente il suo uso avrebbe potuto evitare quella scena agghiacciante ripresa in mondovisione. A nulla valsero i tentativi di rianimarlo: dopo tre arresti cardiaci, Fabio fu dichiarato deceduto tra la commozione generale del popolo del ciclismo ed il dolore dei famigliari. Di lui rimarrà l’affetto dei colleghi e degli amanti di questo splendido sport ed il ricordo di quel magico pomeriggio del 2 agosto 1992, quando Casartelli scrisse una delle più belle pagine dello sport italiano.