Una positività prima di ogni grande Giro, e non solo: il doping non abbandona il ciclismo, ecco il nostro punto su quanto è accaduto nel 2017 in Azzurro d’inchiesta.

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UNA POSITIVITÀ PRIMA DI OGNI GRANDE GIRO: L’OMBRA DEL DOPING NON ABBANDONA IL CICLISMO

Una diminuzione dei casi, ma non siamo ancora arrivati al breakeven: il doping non vuole saperne di abbandonare il ciclismo, e continua a lasciare ombre e sospetti in un mondo che troppe volte ha visto i vincitori finali ”beccati” per sostanze proibite, minando la credibilità di un’intera e gloriosa disciplina. Dubbi e sospetti che hanno colpito anche Sky dopo le accuse di un ex corridore, oppure il nostro Fabio Aru, accusato ingiustamente da Le Monde, e poi si sono tramutati in certezza col libro ”Confessioni di un ciclista mascherato”, che ha mostrato come il doping prima diventi uno strumento di sopravvivenza nel mondo delle biciclette, poi una necessità per ottenere risultati e poi un’autentica malattia (”per deformazione professionale, sono arrivato a rubare delle siringhe dall’ospedale in cui era ricoverata mia madre”). Certo, tutto questo non è la normalità, ma il caso ”quotidiano” alla vigilia di ogni grande Giro non ha certo aiutato l’immagine del ciclismo: in principio sono arrivati Pirazzi (squalificato 4 anni) e Ruffoni, trovati positivi all’ormone della crescita (il caro e vecchio GH, fautore di tante vittorie) il giorno prima del via del Giro d’Italia e licenziati dalla Bardiani-CSF, poi ecco Cardozo (EPO) prima del Tour de France e Samuel Sanchez alla vigilia della Vuelta a España (anche lui col GH). Quattro casi per tre grandi giri, che dimostrano come il vulnus del doping sia tutto tranne che smantellato, e poi a fine stagione ecco un altro caso che ha dell’assurdo: il corridore pizzicato, Michael Bresciani, è stato trovato positivo alla sua prima corsa da pro’, il campionato italiano corso con Bardiani-CSF (ancora implicata, suo malgrado), per un diuretico. Qualche mese prima aveva dichiarato di voler ”lasciare il ciclismo qualora non trovasse una squadra per passare professionista”, poi si è fatto pizzicare alla prima corsa ”vera”, non esattamente una cima: doping tra i grandi, ma doping che dilaga anche altrove come un’inarrestabile cancrena, e in tal senso il 2017 è stato un anno funesto.

DOPING GIOVANILE E DOPING TECNOLOGICO: IL 2017 È UN ANNO NERO

Anno funesto, e per buone ragioni: abbiamo assistito a inchieste che hanno smantellato un sistema-doping all’interno di squadre giovanili (a Cosenza), e addirittura alla positività di un autentico atleta-bambino. È successo a luglio, quando in Sicilia è stato pizzicato per doping un 14enne: un autentico dramma, dato che il ragazzo è stato trovato positivo al Mesterolone, uno degli anabolizzanti più potenti e dannosi per il fisico. Doping anche da giovanissimi, e presente anche negli U23, con un caso che ha scosso l’opinione pubblica: a risultare positivo durante un controllo fuori gara è stato Raimondas Rumsas jr., e se il nome vi suona familiare, allora avete un’ottima memoria storica: Raimondas è figlio di… Raimondas, corridore lituano degli anni ’90 e Duemila (e vincitore di un Lombardia) che risultò positivo all’EPO nel 2003 e chiuse di fatto la sua carriera, ma che è anche ricordato per uno dei maggiori sospetti della storia. Il lituano arrivo 3° al Tour 2002, ma nello stesso giorno la moglie venne arrestata dalla polizia francese per possesso di doping: nella sua auto vennero trovati farmaci di ogni tipo, dall’EPO ai corticosteroidi al testosterone, la signora Rumsas sostenne che fossero medicine per la madre e fu messa in carcere (il doping è reato in Francia), venendo rilasciata dopo 75 giorni e dopo che il marito era stato ritenuto pulito da Lampre ed aveva evitato il licenziamento. Tale padre e tale figlio, viene da dire, dato che il giovane Rumsas è stato pizzicato positivo all’ormone della crescita e avrà per sempre questa macchia sulla sua carriera: tra l’altro, quando la positività di Raimondas jr arriva a pochi mesi dalla sospetta morte di Linas, altro figlio di Rumsas sr., i sospetti che anche il primogenito fosse invischiato col doping aumentano.

Ma questa piaga non s’insinua solo nelle categorie giovanili, e drammaticamente va a colpire anche gli amatori: chi gareggia nelle gran fondo racconta di prestazioni inspiegabili, i bollettini della Federciclismo sono pieni di squalifiche per sostanze proibite, e poi arriva la nuova frontiera del doping, quella tecnologica. Da un paio d’anni l’UCI controlla le bici in cerca dei motorini (dopo episodi sospetti come la bici rotante di Hesjedal, il super-scatto di Froome sul Mont Ventoux nel Tour 2013 e il video di Davide Cassani), ma nessuno si sarebbe aspettato di trovarli nelle bici amatoriali: il caso che ha fatto giurisprudenza e ha fatto inorridire è quello di un amatore (tal Andreoli), pizzicato durante una Gran Fondo. Il ciclista incriminato ”non era mai andato così forte’‘, a detta degli altri ciclisti, e si era rifiutato di consegnare il mezzo per il controllo prima di essere beccato: sono seguite scuse improbabili e giustificazioni del tipo ”la maestra mi ha cambiato la bici”, ma il fatto resta gravissimo, perchè va a dimostrare che uno dei più grandi timori degli appassionati sta diventando realtà. Se vengono trovati i motorini nelle gare amatoriali, chi ci assicura che presto non li troveremo anche nelle ”vere” gare? Un caso c’è già stato nel 2015 durante i Mondiali di ciclocross, e se avete amici che sostengono che il doping tecnologico sia inesistente, mostrategli questo video e lo scatto mostruoso della belga Femke Van Driessche, squalificata 6 anni per l’utilizzo di un motorino nella gara U23.

Insomma, il ciclismo è ancora ben lontano dal liberarsi dalle sostanze proibite e dai ”furbetti del doping”, ma da appassionati siamo sempre speranzosi: il 2018 sarà un anno migliore? Lo scopriremo presto.

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Marco Corradi
31 anni, un tesserino da pubblicista e una laurea specialistica in Lettere Moderne. Il calcio è la mia malattia, gli altri sport una passione che ho deciso di coltivare diventando uno degli Azzurri di Gloria. Collaboro con AlaNews e l'Interista

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