Olimpiadi Tokyo 2020, scherma: il bilancio dell’Italia sulle pedane nipponiche. La delegazione azzurra chiude senza medaglie d’oro, ma si dimostra competitiva in molte armi. Qual’è il bilancio della FederScherma a Tokyo 2020?
Olimpiadi, scherma: il bilancio dell’Italia sulle pedane di Tokyo 2020
Ventiquattro ore fa si è concluso il torneo di scherma delle Olimpiadi di Tokyo 2020, chiuso dall’Italia con un bottino di cinque medaglie. Due, d’argento, nelle gare individuali, con lo sciabolatore Luigi Samele e il fiorettista Daniele Garozzo; tre nelle prove a squadre: una d’argento, nella sciabola maschile, e due di bronzo, nel fioretto e nella spada femminile.
Completano il bilancio dei risultati della scherma azzurra alle Olimpiadi nipponiche: tre quarti posti, nell’individuale con la fiorettista Alice Volpi e con lo spadista Andrea Santarelli, nella gara a squadre con le sciabolatrici; lo stop ai quarti nella spada individuale di Federica Isola e Rossella Fiamingo; quello agli ottavi della sciabolatrice Irene Vecchi; il quinto posto dei fiorettisti e il settimo degli spadisti.
Pesa, nel medagliere della scherma italiana, la mancanza di una medaglia d’oro. Fatto che non avveniva dai lontani Giochi di Mosca 1980. E che, nel Secondo dopoguerra, si era verificato ulteriormente solo alle Olimpiadi di Tokyo 1964 e Città del Messico 1968. Rassegne, queste tre, dove però non erano presenti tutte e dodici le specialità, allorché il “programma completo” è andato in scena per la prima volta proprio a Tokyo 2020. Il cui risultato, appunto, si mostra parzialmente comparabile anche solo rispetto a quello delle Olimpiadi di Rio 2016. In Brasile, la scherma italiana conquistò quattro medaglie, una in meno che a Tokyo 2020; tuttavia, se come in questa rassegna l’Italia fu tre volte d’argento, con la fiorettista Elisa Di Francisca, la spadista Rossella Fiamingo e il fioretto maschile a squadre, FederScherma salì anche sul gradino più alto del podio, con l’oro del fiorettista Daniele Garozzo.
A Tokyo 2020, l’Italia ha tirato per una medaglia in due terzi delle gare (otto prove su dodici), meglio che a Rio (sei su dieci), e meglio anche rispetto ai Giochi di Londra 2012 (ancora sei su dieci). In quest’ultima rassegna, però, al netto dell’oro del fioretto maschile, e della doppietta d’argento e di bronzo degli azzurri della sciabola, l’Italia scrisse una delle più epiche pagine di storia della disciplina, con l’exploit del fioretto femminile azzurro: oro nella gara a squadre londinese, dopo la storica tripletta nell’individuale, con il podio dominato da Di Francisca, Errigo e Valentina Vezzali.
È evidente, dunque, nonostante la diffusa competitività, che il risultato di Tokyo 2020 non possa definirsi migliore di quello di Londra 2012. Perché, spesso, le medaglie non si contano, ma si pesano. Perché l’Italia, la nazione più medagliata nella storia della scherma olimpica, sia per numero di ori (quarantanove) che per numero di medaglie (centotrenta), ai Giochi è chiamata a vincere. E, a torto o ragione, ogni risultato differente è considerato una delusione.
Il bilancio del Presidente FederScherma Paolo Azzi e del Capo Delegazione della scherma italiana a Tokyo 2020 Maurizio Randazzo
Per il Presidente della Federazione Italiana Scherma, Paolo Azzi, «il bilancio non può essere soddisfacente». Perché «è mancato l’oro. E questo pesa, sicuramente». E perché «sono mancate medaglie in specialità dove era lecito attendersele. Quindi sicuramente le zone d’ombra ci sono. Come ci sono però anche aspetti positivi».
Secondo Azzi, infatti, «se dall’analisi emotiva si passa su un piano di razionalità, ci sono anche degli elementi buoni. Perché tre argenti e due bronzi sono un bottino importante. E avevamo undici esordienti in questa Olimpiade: alcuni dei più giovani si sono messi in luce, hanno dimostrato qualità, voglia, e sicuramente già ci indirizzano verso il futuro». Un futuro che è già il presente della scherma azzurra: «le gerarchie olimpiche si azzerano. Tutto quell’assetto che si era definito prima delle Olimpiadi non vale più». E «si riparte con un movimento che comunque è vivo: abbiamo un forte movimento giovanile, quindi sicuramente dobbiamo guardare avanti, ai tre soli anni che ci separano dal prossimo appuntamento olimpico».
Ripartendo, ci tiene a sottolineare il Capo Delegazione della scherma italiana a Tokyo, Maurizio Randazzo, da un bottino di «cinque medaglie. Sono un po’ in disaccordo con coloro che dicono che la scherma, qui, ha fatto un flop. Obiettivamente: abbiamo avuto tre volte l’opportunità di vincere la medaglia d’oro, ma non l’abbiamo vinta; altre due volte abbiamo vinto la medaglia di bronzo; abbiamo tirato in tre match per vincere la medaglia di bronzo… Ritengo che non sia stata negativa come Olimpiade. Non ha avuto il punto che tutti ovviamente speravamo si verificasse, la vittoria della medaglia d’oro, ma questo forse è anche dovuto al periodo Covid che abbiamo attraversato. È dovuto al fatto che certi giovani non si sono potuti mettere in mostra».
Ad ogni modo, «adesso finisce un ciclo. Come al solito: un’Olimpiade ti porta a fare delle valutazioni, e a portare avanti i giovani. Mi auguro che questa stagione ci possa permettere di far vedere qual’è il valore dei giovani». In modo tale, «magari, di rinnovare certe squadre, di portare gente che ha fame di vittorie. Non che i ragazzi che erano [a Tokyo, ndr] non ce l’hanno messa tutta, proprio per questo non gli butterei la croce addosso, visto che hanno vinto cinque medaglie… Però il giovane, a volte, stimola anche il senatore a far meglio. E quindi ne ha un vantaggio tutto il movimento».
Le luci e le ombre della scherma italiana sulle pedane delle Olimpiadi di Tokyo 2020
Proprio dai giovani della spedizione azzurra sono arrivate alcune delle più liete note della scherma italiana alle Olimpiadi di Tokyo 2020. La classe ’99 Federica Isola è stata tra le migliori spadiste nell’individuale, contribuendo ampiamente all’egregio bronzo della spada femminile a squadre. «Un risultato importante», come sottolineato dal CT della spada azzurra Sandro Cuomo, «figlio di tanto lavoro e raggiunto in una gara difficilissima». Allo stesso modo, le debuttanti Erica Cipressa, classe ’96, e Michela Battiston, classe ’97, si sono distinte nelle prove a squadre, rispettivamente, del fioretto e della sciabola; dove, in quest’ultima arma, per la seconda olimpiade consecutiva le azzurre hanno sfiorato il primo, storico podio olimpico.
A Tokyo è poi andato in scena l’atto finale della straordinaria carriera del rappresentante di una delle più gloriose e vincenti dinastie dello sport, Aldo Montano, che a quarantatré anni ha conquistato l’argento nella prova a squadre della sciabola. L’unica arma in cui l’Italia è salita sul podio in entrambe le prove, con Luigi Samele secondo anche nella prova individuale.
Accanto alle luci, però, fanno da contraltare le molte ombre della rassegna azzurra. Al netto dell’oro mancato, infatti, la scherma italiana ha visto sfumare molte medaglie, o opportunità di podio, in rimonta. Lo sanno bene Daniele Garozzo, vice-campione olimpico del fioretto in virtù dell’ottima finale del portacolori di Hong Kong Ka Long Cheung; Alice Volpi, sconfitta all’ultima stoccata dalla fiorettista russa Larisa Korobeynikova nella finalina per il bronzo; lo spadista Andrea Santarelli, relegato al quarto posto dall’ucraino Igor Reizlin; le azzurre della sciabola, beffate dalla Corea del Sud a un passo dal bronzo; e, soprattutto, vistesi sfumare la finale, lo sanno Arianna Errigo, Martina Batini, Cipressa e Volpi, le azzurre del fioretto, beffate dalla Francia in una semifinale pressoché già in archivio.
E proprio nel fioretto femminile italiano, fiore all’occhiello del movimento negli ultimi trent’anni, sono emersi alcuni dei principali nodi irrisolti della scherma tricolore. Assente dalle pedane di Tokyo in virtù della maternità, Elisa Di Francisca ha pesantemente criticato la propria squadra. In particolare il CT Andrea Cipressa, che per la jesina «non è all’altezza per essere il CT del fioretto. Lo dicono i risultati. Serve una personalità più forte». E, non certo al primo botta e risposta, rigorosamente verbale, Arianna Errigo, che «soffre le gare importanti, in special modo le Olimpiadi»: «un peccato, perché [nella prova a squadre, ndr] le altre ragazze hanno tirato bene. Invece Arianna, che dovrebbe essere la punta della squadra, è mancata nel momento decisivo».
Durissime accuse, a Giochi ancora in corso, cui il CT Cipressa, già criticato alla vigilia della rassegna per la convocazione della figlia Erica (ben comportatasi nella gara a squadre di Tokyo), preferita alle meglio posizionate nel ranking internazionale Francesca Palumbo e Camilla Mancini, ha risposto dicendo di non aver «alcuna voglia di censurare le critiche che mi vengono mosse. Purché esse siano costruttive e non si limitino a una violenza verbale inaudita. E insulti pesanti e gratuiti che scaturiscono da odi, antipatie personali e faide di fazioni opposte. Sono pronto al confronto e a un mea culpa, se necessario, ma non accetto voltafaccia disgustosi da chi, fino a poco tempo fa, mi osannava con messaggi di stima, apprezzamento e affetto».
Come nel suo stile, tramite il proprio profilo Facebook, Cipressa ha fatto esplicito «riferimento alla ex fiorettista jesina che, dall’alto del suo ruolo di opinionista, sputa veleno nel piatto in cui ha mangiato, sminuendo pure il valore di atlete che, se pure non quello sperato, hanno ottenuto un risultato olimpico degno di rispetto».
Dal Covid a Budapest 2019, passando per la «globalizzazione della scherma»: come interpretare il risultato di Tokyo 2020?
Come sottolineato dal Presidente Paolo Azzi e dal Capo Delegazione Maurizio Randazzo, le peculiari ultime stagioni della scherma internazionale, vessata dal Covid, hanno pesato e non poco sul quadriennio, poi quinquennio olimpico. La Coppa del Mondo è stata ferma sostanzialmente per due anni, così come gli altri eventi internazionali. E, come fa giustamente notare il Presidente Azzi, i giovani della scherma italiana, «se avessero avuto un percorso normale di attività internazionale, magari, in tutto o in parte, avrebbero anche potuto essere qui. E avrebbero anche potuto modificare l’assetto delle squadre. Ci sono degli atleti di valore che dovremo buttare nella mischia». Un gruppo di giovani che, come rilevato dal Capo Delegazione Randazzo, «non ha avuto la possibilità di dimostrare quello che valeva, o quantomeno mettersi in competizione». Alla stregua di veterani e schermidori già affermati.
Tuttavia, è altresì importante notare come nell’ultimo evento internazionale di primi livello, i Mondiali di Budapest a luglio 2019, l’Italia, nazione più medagliata dell’evento con otto piazzamenti, anche in quell’occasione, non ha conquistato nessun oro.
Da questo punto di vista, risulta particolarmente interessante l’analisi proposta da Daniele Garozzo in seguito alla propria medaglia d’argento nel fioretto individuale. L’azzurro, tra gli atleti di punta della scherma italiana, ha infatti puntualmente analizzato come, negli ultimi decenni, «il mondo della scherma sia cambiato: non è più quello che era dodici, sedici, o vent’anni fa, quando le nazioni del blocco europeo si giocavano tutte le medaglie. [Nel fioretto maschile individuale, ndr] ha vinto un ragazzo di Hong Kong: vent’anni fa probabilmente probabilmente nemmeno c’era la scherma a Hong Kong. La scherma ormai è globale: oggi si giocavano la medaglia due egiziani, un ceco e un italiano. Delle nazionali storiche [nel fioretto individuale di Tokyo, ndr] c’ero solo io. La scherma è globalizzata: vincere sempre non è più così facile».
Proprio per questo, ha dichiarato il Presidente del CONI, Giovanni Malagò, «ci vuole una profonda riflessione da parte della federazione». Perché, «premesso che lo sport italiano e il CONI devono essere eternamente grati alla scherma, i risultati a Tokyo sono stati profondamente deludenti». E «tra tre anni ci sono i Giochi di Parigi: da domani si deve lavorare per ricostruire un ambiente».
Perché la scherma italiana alle Olimpiadi, con o senza l’obbligo di trionfare, è un patrimonio dello sport nazionale. E non solo.
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